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“Talvolta nella nostra quotidianità compiamo azioni automaticamente, di cui non ci rendiamo conto, in modo rituale”: incontro con l’artista Natalia Saurin

Articolo redatto da Anna Papale per la rubrica collegArti in occasione dell'incontro con l'artista Natalia Saurin

11 aprile 2019

“Talvolta nella nostra quotidianità compiamo azioni automaticamente, di cui non ci rendiamo conto, in modo rituale”: incontro con l’artista Natalia Saurin

Anna Papale

L’11 aprile 2019 si è svolto nell’Aula Magna di Santa Cristina il dialogo con l’artista di origine argentina Natalia Saurin presentata da Giuseppe Mendolia Calella, curatore indipendente, fondatore di Balloon Project e autore, assieme a Valentina Barbagallo, del libro/monografia d’artista “Natalia Saurin: tra mito e quotidiano”. L’incontro è stato organizzato da Silvia Grandi allo scopo di illustrare non solo il lavoro e il processo creativo dell’artista ma anche per approfittare della presenza di un’altra figura del sistema dell’arte, quella del curatore, grazie al quale si è potuto esplorare i retroscena dell’organizzazione di una residenza d’artista e il prodotto di tale esperienza concretizzatosi in una mostra, una serie di installazioni e video e infine un libro.

Ad aprire l’evento è stato proprio Giuseppe Mendolia Calella che si è soffermato a descrivere la nascita del Balloon Project (www.balloonproject.it), una piattaforma online fondata nel 2012 e dedicata alla ricerca relativa alle arti visive contemporanee, il cui scopo è quello di mappare tutte le realtà relative al settore partendo da quelle indipendenti fino alla presentazione delle figure e dei protagonisti della scena artistica contemporanea, in Italia e non solo.

Il primo incontro tra Giuseppe Mendolia Calella e la fotografa argentina è avvenuto prima della nascita di Balloon Project, durante un progetto di residenza d’artista proposto dal Circuito dei Giovani Artisti Italiani (Gai) del Comune di Messina. Dopo diverse collaborazioni, Saurin e Mendolia Calella, in altri contesti e progetti, hanno conosciuto Martina Tolaro, responsabile della casa editrice Moondi di Catania, una giovane realtà editoriale che si occupa principalmente di testi di ricerca, diari di viaggio, guide, reportage. Vista la poetica di Natalia Saurin, interamente dedita ai viaggi, allo spostamento e all’analisi dei luoghi, Giuseppe Mendolia Calella - già consulente editoriale per la redazione di una collana di monografie (“Art”) dedita agli artisti e alle tematiche più care alla casa editrice - non poté che focalizzare l’attenzione sulle sue opere. Come ha spiegato: “Parte del lavoro di Natalia riguarda questi elementi, con una componente narrativa accentuata, immediata ma non semplicistica”. Frutto di questa scelta è stato il volume scritto in collaborazione con Valentina Barbagallo e prefazione e postfazione curate da Manuela de Leonardis e Wendy Everett. “I due temi di particolare pregnanza - continua Giuseppe Mendolia Calella - sono quelli della ritualità e il riferimento alla figura della donna con una ricaduta legata al sovraumano e al soprannaturale”.

L’artista si presenta con una serie di parole-chiave che esplicano la sua poetica, quali: ‘viaggio’, da sempre parte della sua storia familiare e del suo DNA, che l’ha portata a completare i suoi studi in Italia, a Milano, e ad esplorare le numerose maniere di viaggiare; ‘abitudine’, in riferimento alla sfera delle cose che conosciamo, che ripetiamo e di cui dunque siamo sicuri, che ci permette di creare una comfort zone tuttavia limitata e limitante; ‘residenza d’artista’, sua metodologia di ricerca preferita che drizza le “antenne sensibili”, come ha chiarito Silvia Grandi, “in funzione di aprire e allargare i propri orizzonti attraverso l’altro, il diverso”; ‘leggende’, tramandate oralmente o per iscritto, che hanno bisogno di tempo per attecchire e partecipare alla stratificazione culturale e che talvolta si concretizzano in oggetti preziosi; infine ‘cibo’, al centro della ricerca dell’artista che afferma che non è un caso se “tramite la bocca compiamo due gesti insieme rituali e primordiali: mangiare e parlare, per tale ragione deve esistere un forte legame tra il racconto e l’alimentazione”. I suoi ultimi lavori vertono attorno al binomio sacralità-cibo e il bisogno dell’uomo di nutrirsi di miti e archetipi allo scopo di acquisire sicurezza e di “dare nome a qualcosa che nome non ha”.

Dopo questa presentazione per keywords, Natalia Saurin ha passato in rassegna il proprio portfolio. Sin dalle prime opere è possibile cogliere i riferimenti all’arte contemporanea italiana di maggior spicco (Lucio Fontana) rivisitata in chiave ironica e soffermandosi sui gesti rituali e ripetitivi che compie: “I primi lavori che ho fatto sono legati alla quotidianità e all’uso di pattern sempre uguali”. Dall’altro lato sono stati presentati e discussi i lavori video: “Poi ho raccontato di storie di resistenza. Sempre con leggerezza” come “Dance dance” (2009), dialogo tra un’anziana signora e i suoi ricordi, in cui si fonde la realtà con il sogno in uno spazio senza tempo, scandito dalla danza, medicina contro le difficoltà da un lato e moto celeste dall’altro. Si tratta di una storia vera sì, ma raccontata attraverso la fiction, come fa notare Silvia Grandi; i video di Natalia sono tutti di tipo narrativo più che documentaristico, per via del ricorso alla creazione di una scenografia funzionale al racconto, fittizia sebbene verosimile, ove la scelta delle musiche ha un ruolo chiave.

La sua attività e riflessione in Italia sono state precedute da una residenza d’artista in Francia presso la Fondazione Camargo. Nel video “Les Trois M” intreccia leggenda, simbologia e quotidianità facendo emergere come il mito sia presente nel nostro quotidiano. Il titolo “Les Trois M” si riferisce al simbolo M delle Marie ma allo stesso tempo suggerisce un ulteriore trittico: les Maries, la Mer, and les Mains. La produzione segue le tracce di tre donne riprese in diversi luoghi: Marsiglia, Cassis, Salon de Provence, Saint Maximin, Sainte Baume, and Saint Marie de la Mer. Saurin ha comentato: “Il processo per la realizzazione del video è stato in se stesso una sorta di pellegrinaggio, un cammino durante il quale incontrando diverse versioni della stessa storia la verità non ha più senso, il significato si perde nel vasto abisso di tempo che separa le specie e le civiltà.”

In seguito l’artista ha esposto il lavoro “Contemplazione” (2010): “Da Messina, per raggiungere il faro, il percorso comprende tre frazioni: Pace, Contemplazione, Paradiso”. L’opera consiste in una serie di incontri/interviste dell’artista effettuate nel percorso che giunge al faro, fermandosi e chiedendo ai passanti dove si trovasse Paradiso. L’intenzione era quella di analizzare non solo l’aspetto etimologico della topografia messinese, che porta inevitabilmente a una serie di equivoci linguistici bizzarri, ma anche quella di scoprire come la popolazione realizzi nel proprio immaginario il Paradiso, un “paradiso” che ritrovano materialmente in Terra, necessario punto di riferimento di un tragitto percorso quotidianamente.

Un altro progetto di residenza, che ha portato la Saurin a lavorare in Sicilia e a collaborare ancora una volta con Giuseppe Mendolia Calella e Valentina Barbagallo è “My little house #2” (ideato e condotto da Fulvio Ravagnani), grazie al quale la Saurin ha avuto la possibilità di accostarsi alla città di Catania come ospite nella casa di un avvocato del posto. Durante la settimana di residenza, Natalia Saurin si è concentrata sulle due “madri” cittadine: una, la mamma che protegge e rassicura, Agata, Santa patrona, e l’altra, la mamma imprevedibile che incanta e distrugge, l’Etna. Due volti della stessa medaglia che l’artista ha deliberatamente e automaticamente associato. Ne è nata una mostra dal titolo “le due Madri” che ha avuto luogo proprio dentro la casa che l’ha ospitata, temporaneamente trasformata in luogo espositivo, in cui l’artista ha raffrontato le due madri della città con le due donne che hanno cresciuto l’avvocato catanese, la madre e la nonna, i cui atteggiamenti e insegnamenti riflettono quelli delle madri di Catania.

Infine l’artista ha esposto il progetto ancora in progress “Mangiare è sacro”. Durante la sua residenza siciliana ha potuto indagare l’associazione tra sacro e profano, tra religiosità e tradizione che si realizza durante la festa della patrona. “Sono stata colpita dalla fortissima devozione popolare ove la memoria della tortura, del martirio, viene oggi ridestata da un gesto normale, come quello di assaporare un dolce, che si trasforma in un gesto forte, significativo, capace di proiettarci in rituali primordiali.” Fa riferimento al dolce tipico, che si sforna nei giorni della festa della patrona, a forma di seno, per ricordare l’asportazione che ha subito durante il martirio. A partire da tale usanza, ha analizzato i cibi consumati durante le festività religiose in giro per l’Italia, in un percorso che si è sviluppato in otto tappe in cui ha riscontrato la stessa ritualità, la stessa usanza: ha così fotografato i dolci antropomorfi e documentato quello che chiama una sorta di “cannibalismo simbolico”, nel tentativo di riunire “un corpo - l’Italia - smembrato dalla storia” e dalla religiosità mista alla tradizione.

L’occasione ha rappresentato per gli studenti una preziosa opportunità per capire, a partire da una testimonianza diretta, quale è il funzionamento del sistema dell’arte per le realtà indipendenti e per le figure dal profilo versatile che vi ruotano attorno. Inoltre il medium utilizzato dall’artista ha permesso di individuare un processo creativo ambivalente, in quanto si è servita non solo della capacità documentaristica del video, ma anche della costruzione di una scenografia, di un racconto, che tuttavia rimane ben legato alla storia originale, in linea con le opere dei videoartisti e dei performer analizzati durante le lezioni.

Immagine: Anna Papale, autrice dell’articolo, Silvia Grandi, Natalia Saurin e Giuseppe Mendolia Calella di Balloon Project