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Amore. Immagini e parole di una generazione

Articolo redatto da Raffaele Caputo per la rubrica CollegARTI in occasione della mostra fotografica "Amore. Immagini e parole di una generazione", allestita all'interno del chiostro del Complesso di Santa Cristina.

 

31 maggio 2017

 

Amore. Immagini e parole di una generazione

Raffaele Caputo

 

«Forse la giovinezza è questo perenne amare i sensi e non pentirsi» Andrea Pazienza

In un clima anti-ideologico, freddo e circospetto come l’attuale, cosa vuol dire amare? Cosa vuol dire essere ventenni? La febbrile sensazione di poter essere in mille modi diversi si mescola al senso di inadeguatezza, al “carattere effimero e inconsistente della nostra volontà e dei nostri desideri” (Italo Svevo, La coscienza di Zeno, Grandi Tascabili Economici Newton, 2010, p. XXI).

Gli studenti del corso di Storia della Fotografia del D.A.M.S. di Bologna hanno certificato e rappresentato con esattezza quasi sorprendente questo stato di consapevolezza attraverso l’impiego del medium fotografico nelle sue svariate formule espressive, afferrando con sensibilità ed efficacia gli stimoli colti nelle lezioni svolte dal Professor Claudio Marra. 

L’installazione collettiva, che conquista circa venti metri del chiostro di Santa Cristina, in piazzetta G. Morandi, presenta centinaia di foto in formato 10x10, accompagnate da una breve didascalia, e riporta alla mente l’ormai mitica esposizione di Franco Vaccari, datata 1972, dal titolo Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio.

Così la nuova generazione si accosta alla genealogia dell’Amore, sullo scenario di un paesaggio umano dalle identità mescolate, in un puzzle di scatti che non si pone il problema dell’artisticità, perché ad affascinare è il raffinato gioco concettuale riservato al pensiero dell’Amore, che trova espressione concreta grazie allo specifico ed esclusivo contributo che la fotografia garantisce. 

Non sorprende la singolare attenzione riservata al ruolo del corpo, sorgente e miniera di alcune indagini estetiche fra le più penetranti della storia fotografica che, posto alla presenza dell’obiettivo-specchio, s’impadronisce della consapevolezza delle sue potenzialità espressive e delle sue molteplici diramazioni identitarie, manifestandosi anche in esibizioni private audaci e maliziose, tese a decostruire gli stereotipi di genere: la distintiva natura di indice della fotografia, la sua peculiare contiguità con il reale, fa sì che l’immagine fotografica si offra come un’impronta sensibile del corpo, luogo in cui si tracciano non solo i segni dell’identità biologica, ma anche quelli collegati al ruolo sociale e pubblico, alla sfera dell’amore.

Stupisce, invece, la quantità di scatti sottratti agli album di famiglia, dove si trovano i parenti e gli amici, catturati nei più svariati attimi dell’esistenza, segno di un coinvolgimento “amoroso” totale con i soggetti fotografati, comprensibile dal momento in cui intendiamo la fotografia come una carezza, un lambire, un sentire più vicino che mai “l’altro da sé”: non a caso si fotografa ciò che si ama.

Non esiste niente di meglio dell’immagine fotografica per tenere vivo il ricordo, la memoria del calore di una presenza, per gustare appieno la vita sotto ogni punto di vista; così, dinanzi all’installazione inaugurata il 31 Maggio, si è coinvolti in un articolato e suggestivo flusso emotivo che invita ad un percorso di indagine concettuale sul nostro passato, fino a trascinarci verso una partecipata fruizione del presente, rivalutando l’esperienza sincera, quotidiana, così sfacciatamente normale, dell’amore familiare nel suo continuo realizzarsi.

Gli spettatori curiosi ed entusiasti che hanno partecipato all'’inaugurazione dell’installazione e tutti coloro che giorno dopo giorno continuano ad esserne attratti e stimolati sono il premio più gratificante per l’impegno e la serietà mostrati da un gruppo di ragazzi felice di aver avuto l’opportunità di mettersi alla prova.