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I disegni di Charles Percier 1764-1838. Emilia e Romagna nel 1791

Articolo redatto da Filippo Antichi per la rubrica CollegARTI in occasione dell'incontro, promosso dalla Fondazione Federico Zeri, con Liliana Barroero e Giovanna d'Amia.

30 novembre 2017

 

I disegni di Charles Percier 1764-1838. Emilia e Romagna nel 1971

Incontro con Liliana Barroero e Giovanna d'Amia

Filippo Antichi

 

La rassegna autunnale degli Incontri in biblioteca della Fondazione Zeri si è chiusa affrontando la pubblicazione del volume “I disegni di Charles Percier 1764-1838. Emilia e Romagna nel 1791”, curato da Sabine Frommel e Jean-Philippe Garric; l'iniziativa ha offerto l'occasione per invitare Liliana Barroero, professoressa dell'Università Roma Tre e grande studiosa del Settecento, e Giovanna d'Amia, storica dell'architettura al Politecnico di Milano, a presentarlo analizzando il tema da punti di vista differenti.

Andrea Bacchi, direttore della Fondazione, ha introdotto la conferenza sottolineando la peculiarità dell'argomento trattato in questa occasione rispetto a quelli degli altri Incontri. Il libro raccoglie, infatti, i disegni realizzati dall'architetto Charles Percier (Parigi 1764 – 1838) in Emilia e Romagna nel 1791 al suo ritorno dal soggiorno romano durato un lustro come Pensionnaire dell'Académie de France; il volume, pubblicato dall'editore Alpisano, riproduce una cinquantina di lavori appartenenti al corpus grafico dell'architetto conservato alla Biblioteca dell'Institut de France a Parigi. Si tratta di un argomento al confine tra la storia dell'architettura e quella del disegno e si riferisce al periodo Neoclassico, quando nuovi stimoli dal passato si affacciavano a rinverdire il presente.

Andrea Bacchi ha lasciato la parola a Giovanna d'Amia, la quale ha raccontato che il volume è il punto di arrivo di una ricerca iniziata dieci anni fa, interessata a riscoprire con convegni, mostre e studi gli architetti del periodo napoleonico come Charles Percier e il suo grande amico Pierre-François-Léonard Fontaine (Pontoise 1762 – Parigi 1853). Questa pubblicazione, in particolare, si concentra sui disegni eseguiti tra la Romagna e l'Emilia ed è divisa in due parti: la prima, con tre contributi, è dedicata a contestualizzare l'attività di Percier, i suoi lavori romani, e l'ambiente bolognese del periodo; nella seconda, invece, vengono invece analizzati,centro per centro e attraverso saggi di studiosi provenienti dalle varie aree attraversate, i lavori di Percier compiuti nelle Marche, in Romagna, Emilia e a Mantova.

Giovanna d'Amia, analizzando ogni singolo saggio, ha così tratteggiato l'esperienza italiana del giovane artista francese. Ne emerge una tipologia di architetto poco canonica: innanzitutto i disegni dimostrano una formidabile padronanza tecnica, da disegnatore esperto, mettendo in evidenza il ruolo fondamentale che l'attività grafica svolgeva per i Pensionnaires. Inoltre tali lavori non sono mai rilevazioni esatte degli edifici ma, soprattutto quelli realizzati nel viaggio di ritorno, si presentano come una somma di annotazioni degli elementi fondamentali dei vari monumenti, con alcune forzature grafiche. Percier utilizzava spesso lo stesso foglio per rappresentare diversi edifici o particolari di essi, formando veri e propri accrochages come quello realizzato a Bologna, che tiene insieme il torrino di San Vitale e un particolare della facciata della Madonna di Galliera. La città felsinea lo colpì profondamente tanto che, una volta rientrato in Francia, scrisse all'amico artista John Flaxman (York 1755 – Londra 1826) che lì “c'è da far girare la testa” e di ciò è testimonianza il gran numero di disegni eseguiti in loco. Tuttavia a Bologna Percier non rappresentò la Basilica di San Petronio, come a Rimini si astenne dal riprodurre la facciata del Tempio Malatestiano, di cui invece esiste un disegno del fianco; probabilmente l'artista preferiva soffermarsi su edifici meno conosciuti, di cui era più difficile reperire le rappresentazioni in patria. Gli interessi di Percier non erano perciò limitati all'Antico, ma abbracciavano anche il Rinascimento e il Gotico, come testimoniano molti disegni eseguiti in terra emiliana tra Bologna e Piacenza; egli infatti era convinto che l'architettura dovesse essere considerata nella sua interezza per quello che poteva apportare di nuovo al sistema costruttivo contemporaneo, ed era consapevole dell'esistenza di varie tipologie di Antico a cui l'artista moderno poteva attingere per realizzare le proprie opere. Il giovane architetto francese dimostra in questi disegni emiliani un occhio critico estremamente moderno, vero figlio della cultura illuminista che in Francia aveva offerto esempi di grande valore.

L'intervento di Giovanna d'Amia ha aiutato il pubblico ad introdurre Liliana Barroero che si è occupata, in particolare, di analizzare l'ambiente romano che Percier frequentò in qualità di Pensionnaire tra il 1786 e il 1791: cosa vede in questi cinque anni romani? Su cosa si concentra il suo sguardo? Chi frequenta? Cosa succede attorno a lui?

Tenendo a mente tali quesiti, l'intervento si è dunque snodato come un viaggio a Roma, vista attraverso gli occhi del giovane Percier, che vi arrivò a 23 anni, cioè nel momento più duttile della vita. Lì si ritrovò a fianco di personaggi come Antonio Canova, strinse rapporti con l'architetto e orafo Giuseppe Valadier e una grande amicizia con John Flaxman a cui, una volta tornato a Parigi, avrebbe scritto una lettera per raccontare il suo viaggio nella Penisola. Questo ambiente culturale aveva già messo in discussione le teorie winckelmanniane; un nuovo afflato pervadeva gli ambienti artistici romani e si iniziava a riflettere su un Rinascimento diverso da quello di Raffello, più vicino al Michelangelo della Sistina e a distinguere diversi modelli antichi in una dicotomia che vedeva i Colossi di Montecavallo da un lato e  l'Apollo del Belvedere dall'altro, simbolo della perfetta classicità. Percier divenne un interprete di queste istanze grazie ai disegni realizzati velocemente a matita sul posto e ritoccati in studio a inchiostro e acquarello, secondo una pratica comune agli artisti dell'epoca e non si limitò a disegnare solo l'Antico: il suo taccuino è, infatti, il ritratto di una curiosità onnivora, espressione di una nuova sensibilità che guardava al passato in tutte le sue sfaccettature. Percier, infatti, non depurava i monumenti dai segni del tempo, ma, così come aveva insegnato Piranesi, li accettava nello stato in cui si trovavano, evidenziando il loro rapporto col contesto e prestando particolare attenzione anche agli elementi ornamentali, sia pittorici che scultorei. Fece così a Villa Madama, ma soprattutto nella Casina di Pio IV, esempio curioso ed eccentrico che non tutti, specialmente gli ammiratori più puristi dell'antico, avrebbero saputo apprezzare. Tale nuova sensibilità si riscontra nei vari accrochages, come Divers fragments antiques et modernes dessinés d'après nature dans différentes villes d'Italie et de la France realizzato a penna, inchiostro e acquerello, e conservato al Louvre, in cui compaiono, accanto a decorazioni tipicamente classiche, elementi desunti dal Rinascimento romano, ma anche italiano tout court, quali ad esempio brani di facciate bolognesi. Questo accrochage realizzato in Francia si differenzia da quelli fatti precedentemente in Italia, che presentano una composizione meno pensata e più spontanea, dovuta alla rapidità dell'esecuzione e alla disponibilità di fogli. I lavori italiani non sono mai puri e semplici disegni di architettura: la già menzionata attenzione agli ornati e al contesto e la rappresentazione di luci e ombre li rendono veri e propri disegni artistici, frutto di un'esperienza maturata in seno all'Académie e in rapporto diretto con gli artisti figurativi sia francesi che italiani ivi presenti. Liliana Barroero, analizzando il disegno che riproduce la Sirena della Fontana del Nettuno di Giambologna, ha proposto il nome di Felice Giani come possibilemodello stilistico di Percier: ne sarebbero prova il profilo continuo, le ombre accentuate sotto gli occhi e la linea essenziale del tratto che si stacca dal fondo acquerellato. Il prodotto finale è un disegno addirittura più sensuale del modello, ma che si attiene in toto alle regole accademiche. Anche nei disegni architettonici, come quelli dei portici bolognesi, pur nel rispetto dei principi basilari della prospettiva, l’autonomia interpretativa viene espressa attraverso un segno molto libero e semplificato, in una visione d'insieme che sembra presagire il successivo impegno di Percier come scenografo dell'Opéra. Questi disegni sono, in sostanza, non solo funzionali al mestiere di architetto, ma il prodotto di un grande artista.

Andrea Bacchi ha fatto seguito all'interessantissimo intervento di Liliana Barroero chiedendosi cosa resta di questa curiosità nei lavori successivi di Percier, in quanto si tratta di un architetto che non guarda solo ai modelli architettonici, ma considera l'arte come Gesamtkunstwerk, in cui non si può prescindere da una delle tre componenti: pittorica, scultorea e architettonica.

A chiudere la serata è intervenuta Sabine Frommel, curatrice del volume che, dopo i ringraziamenti a coloro che hanno reso possibile lo svolgimento di tali studi, ha voluto sottolineare come questo sia solo l'inizio di un progetto più ampio che intende rivalutare l'operato degli architetti che lavorarono alla fine del XVIII secolo ed è già prevista la pubblicazione di altri volumi sui disegni di Percier realizzati in Toscana e nel Lazio. Sabine Frommel ha aggiunto qualche spunto di riflessione, partendo dal suo saggio introduttivo; in particolare ha evidenziato come durante il soggiorno romano Percier abbia avuto la possibilità di tornare più volte a riflettere sulla sua attività. I disegni di quel periodo sono, dunque, più ponderati e particolareggiati - anche se mai neutrali, in quanto l'architetto tende a correggere quello che realmente vede – rispetto a quelli realizzati durante il ritorno in patria, quando scarseggiava il tempo a disposizione per rivedere i vari monumenti, motivo per cui l'artista realizzò disegni più rapidi e meno coerenti. Si aggiunge, come si desume da alcuni lavori,  il problema dell'accessibilità degli edifici, soprattutto di quelli privati; rispetto a questo tema rimane, peraltro, dubbio se fosse necessario un contatto personale tra l'artista e il proprietario o fosse sufficiente una semplice raccomandazione. Nonostante ciò i lavori di Percier costituiscono una notevole testimonianza di come si presentavano le città e i loro edifici alla fine del ‘700, ed è curioso notare come il nucleo di Bologna sia quello più importante tra i taccuini del viaggio.

Questi Incontri, che richiamano pubblico anche esterno all'ambito accademico, si configurano come una occasione estremamente interessante di approfondimento, in quanto vanno ad affrontare argomenti meno battuti e, proprio per questo, ancora più avvincenti. Ci si augura, pertanto, che possa consolidarsi in una tradizione utile a tutti, studenti e semplici curiosi o appassionati, e foriera di sempre nuovi stimoli.