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Il patrimonio artistico in Italia centrale dopo il sisma del 2016

Articolo redatto da Arianna Latini per la rubrica CollegARTI in riferimento all'incontro tenutosi presso la Fondazione Zeri sulla gestione del patrimonio artistico dell'Italia centrale dopo i terremoti del 2016.

20 aprile 2017

 

Il patrimonio artistico in Italia centrale dopo il sisma del 2016

Arianna Latini

 

La Fondazione Federico Zeri, giovedì 20 aprile, è stata sede di un incontro su un tema di estrema attualità e importanza: la gestione del patrimonio artistico delle regioni dell’Italia centrale colpite dai terremoti che hanno interessato la nostra penisola da agosto 2016. L’occasione è stata offerta dalla presentazione del numero speciale della rivista di storia dell’arte “Predella”, dedicato interamente al patrimonio artistico di Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo, messo in pericolo e danneggiato dal sisma. Parte del ricavato della rivista, che per l’occasione è venduta in forma cartacea e non solo on line, andrà al restauro del Trittico di Norcia, opera della scuola di Paolo da Visso.

Gli ospiti invitati dalla Fondazione per questa iniziativa sono storici dell’arte che da sempre si occupano e studiano il patrimonio artistico di queste regioni, considerato spesso periferico e quindi trascurato e non abbastanza valorizzato. Sono intervenuti Andrea De Marchi, Professore ordinario di storia dell’arte medioevale presso l’Università di Firenze, Romano Cordella, Storico dell’arte, Alessandro Delpriori, Sindaco di Matelica e Storico dell’arte ed Elisabetta Giffi, Storica dell’arte e dipendente del MiBacT.

Ad introdurre il tema dell’incontro è stato il Direttore della Fondazione Federico Zeri, il Professor Andrea Bacchi, il quale ha posto fin da subito l’attenzione sulla ciclicità di questi eventi sismici e sulla necessità di una prevenzione capillare ed efficiente, riportando alla memoria dei presenti il terremoto dell’Emilia del 2012 e i relativi danni materiali, constatando la secolare precarietà della situazione italiana.

Poi ha preso la parola Andrea De Marchi, che in qualità di esperto di arte tardogotica marchigiana ha fatto riferimento al grande lavoro compiuto dai Direttori di “Predella” e alla prontezza dimostrata dalla rivista nel porre l’attenzione sulla difficile situazione post sisma. Il periodico, infatti, grazie ad interventi complementari di diversi studiosi, accende i riflettori su una situazione ancora fluida come quella che si presenta oggi in molte province umbre e marchigiane per quanto riguarda la tutela delle opere danneggiate o in pericolo. De Marchi è passato poi a delineare la situazione dell’entroterra dell’Italia centrale, territorio che in passato è stato crocevia di scambi, caratterizzato da vitalità economica e culturale e sede di importanti signorie, ma che da decenni affronta un rischio di “desertificazione” quanto mai reale. La situazione riscontrata in queste regioni è indicativa del problema più ampio che investe la tutela dei beni culturali in Italia e che in occasione di emergenze come queste mostra tutta la sua fragilità e inefficienza. L’assenza di interventi preventivi e di valorizzazione è figlia della mancanza di un progetto nazionale e di una rete museale in grado di tenere viva la memoria di questi luoghi attivando, grazie all’auspicato presidio degli storici dell’arte sul territorio, una spirale virtuosa per il rilancio del cuore appenninico d’Italia tramite l’arte, il paesaggio e la cultura. Circostanze così straordinarie pongono l’attenzione sulla necessità di interventi immediati in luoghi che altrimenti rischiano di perdere in modo irrimediabile opere che, se da un lato rappresentano l’identità più profonda di queste terre, dall’altro potrebbero essere condannate, a causa dell’esclusione dalle tappe del turismo di massa, a scomparire, vittime dell’incuria e del logorio del tempo. De Marchi ha concluso il suo intervento con l’auspicio della creazione di una rete museale che preveda anche la collaborazione della popolazione locale e che possa essere motore della rinascita di quel territorio tramite la consapevolezza, la conservazione e la valorizzazione, ad opera di storici dell’arte, dei gioielli artistici di quei  luoghi.

Romano Cordella, esperto della situazione storico-artistica del versante umbro dell’alta Valnerina, ha delineato il fenomeno delle mostre, nate negli ultimi mesi in tutta Italia, che espongono le opere recuperate dalle zone terremotate, talvolta a discapito della precaria condizione conservativa delle stesse. La ricostruzione antisismica avvenuta dopo il terremoto del 1997 ha evitato la perdita di vite umane ma i danni ai monumenti, specialmente quelli ecclesiastici, sono stati ingentissimi. La questione fondamentale che riguarda le opere mobili recuperate nei territori umbri, tutte ricoverate a Spoleto per essere restaurate e il loro futuro ritorno nelle zone che le ha prodotte, non è un fatto scontato. Se, tuttavia, non avvenisse questo implicherebbe la perdita dell’identità e del senso di appartenenza per la popolazione che da secoli si è riconosciuta ed identificata in esse.

È poi intervenuto tramite Skype Alessandro Delpriori che in questi mesi e in prima persona si è trovato ad affrontare la distruzione provocata dal sisma e i problemi legati al patrimonio culturale.La priorità delle istituzioni in questi luoghi dovrebbe, almeno in parte, essere quella del salvataggio del paesaggio culturale e, quindi, dell’identità stessa del territorio. Per quanto riguarda la zona marchigiana la salvaguardia dei beni mobili è stata quasi completata, ma ora si deve passare alla valorizzazione, riportando al più presto le opere nel loro luogo d’origine. Delpriori marca la carenza delle istituzioni in questi luoghi, certamente in parte da imputare all’ingente patrimonio danneggiato. L’appello del sindaco è dedicato alla sensibilizzazione e alla conoscenza, attuata anche tramite conferenze o incarichi di dottorato e, quindi, con il coinvolgimento diretto delle università, con azioni fatte sul territorio e per il territorio.

L’ultimo intervento è stato affidato ad Elisabetta Giffi, marchigiana, che per due settimane ha lavorato nelle Marche per far fronte all’emergenza sisma tramite il rilevamento a tappeto dei danni e il recupero dei beni mobili. Giffi denuncia una difficoltà della regione Marche data dall’immobilismo generale, dalla non messa in sicurezza della maggior parte degli edifici e dei beni immobili e dalla precaria condizione dei collegamenti stradali. Secondo la dottoressa Giffi la gestione marchigiana dei beni immobili nelle emergenze è stata caratterizzata per decenni da una scarsa consapevolezza sia della popolazione che delle istituzioni, come aveva notato anche Federico Zeri dopo il terremoto del 1997, differenziandosi negativamente dalla situazione umbra. In Umbria infatti, grazie ad un coordinamento unitario tutte le opere in pericolo o danneggiate dal terremoto sono state ricoverate presso il deposito di Santo Chiodo di Spoleto gestito dal Ministero; nelle Marche, invece,si è scelto di suddividere il ricovero delle opere in più centri sparsi nel territorio per non estirpare il patrimonio dal proprio luogo d’origine, consegnando la responsabilità della cura diretta di quello rimosso a diversi enti. Questa scelta, pienamente condivisibile, si è tuttavia scontrata con una selva di particolarismi che ne ha, sovente, inficiato il risultato. Si rende necessario, pertanto,cercare una convergenza di intenti tra le varie istituzioni, creare un progetto unitario e tenere alta l’attenzione sulla situazione del patrimonio culturale. 

La gestione del patrimonio va affidata a professionalità specializzate, consapevoli dell’importanza delle opere stesse, seguendo i protocolli del Ministero, affidati a figure come quella dello storico dell’arte e del restauratore. L’auspicio è che il MiBAcT sappia garantire la professionalità del suo personale e sostenere la creazione di sinergie per far ripartire in queste zone, nell’ordinario e nell’emergenza, la valorizzazione e la tutela del patrimonio.

L’incontro, presentando problematiche drammaticamente attuali, ha suscitato grande interesse nel pubblico che ha partecipato con vero coinvolgimento. Appuntamenti come questo mostrano l’importanza di sensibilizzare e tenere viva l’attenzione sulle situazioni di crisi che affliggono il nostro patrimonio, ponendo come soggetti attivi anche le università e le istituzioni culturali.