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Il restauro degli affreschi del Camposanto di Pisa

Articolo redatto da Vanessa Ferrando per la rubrica CollegARTI in occasione della conferenza di Carlo Giantomassi.

7 febbraio 2018

 

Il restauro degli affreschi del Camposanto di Pisa

Conferenza di Carlo Giantomassi

 Vanessa Ferrando

 

Mercoledì 7 febbraio, presso l’Aula Magna di Santa Cristina, si è tenuta una conferenza di Carlo Giantomassi su “Il restauro degli affreschi del Camposanto di Pisa”, presentata da Luca Ciancabilla. L’evento è stato organizzato in vista del ricollocamento il 7 giugno 2018 in Camposanto dell’affresco del “Trionfo della Morte” di Buffalmacco.

Carlo Giantomassi, restauratore che si è occupato di importanti interventi come quello in San Francesco ad Assisi o quello della Cappella Ovetari a Padova, ha introdotto l’incontro illustrando Piazza dei Miracoli a Pisa: il luogo culturale per eccellenza della città, che ne raccoglie i più importanti monumenti, ovvero la Cattedrale, il Battistero ed il Camposanto.

Quest’ultimo, coperto con capriate lignee e con uno strato di piombo, era in origine caratterizzato da pareti interamente affrescate, per un totale di circa 1200 metri quadrati,decorate da diversi e importanti artisti, fra i quali Buonamico Buffalmacco, Taddeo Gaddi e Benozzo Gozzoli. Oltre alle pitture, di notevole importanza sono, ovviamente, le sepolture monumentali. Dell’aspetto originario restano diverse testimonianze grafiche, alcune delle quali eseguite da nobili inglesi durante il Grand Tour e numerose foto storiche dei F.lli Alinari, scattate prima della Seconda Guerra Mondiale.

Già prima dei danni bellici, gli interventi di restauro sugli affreschi erano iniziati alla fine del XIV secolo, a causa delle condizioni climatiche che avevano portato alla formazione di condense sulla pellicola pittorica,e si erano susseguiti nei secoli. Indubbiamente, e purtroppo, l’intervento più massiccio è stato eseguito dopo la seconda metà del ‘900.

Il 27 luglio 1944, infatti, una granata incendiaria degli Alleati colpì il tetto del Camposanto. La struttura lignea andò a fuoco per tre giorni e le lastre in piombo sottostanti si fusero. La superficie muraria venne danneggiata dalle gocce di piombo e dal legno che rovinò su di essa. A causa del calore gli intonaci scoppiarono e i pigmenti si alterarono, dando così un tono uniformemente rossastro a tutte le pareti: un vero e proprio disastro inaspettato. Gli affreschi rimasero esposti alle condizioni atmosferiche, caratterizzate anche dalle piogge stagionali: questo comportò la distruzione quasi totale dell’opera di Benozzo Gozzoli, poiché con l’acqua andarono perse le rifiniture a secco, da lui largamente utilizzate per completare l’affresco.

I primi interventi furono realizzati con urgenza e con materiale di recupero: vennero costruite delle coperture in legno provvisorie per le pareti, così che le piogge non potessero danneggiarle ulteriormente. Successivamente si rifletté su come procedere per garantire la conservazione delle pitture. Cesare Brandi, allora direttore dell’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro (ICR), in collaborazione con Piero Sanpaolesi, Soprintendente ai Monumenti e alle Gallerie di Pisa, optò per lo strappo della pellicola pittorica e formò tre squadre di intervento, le quali dovettero tagliare la superficie in varie sezioni, creando una sorta di puzzle, a causa delle imponenti dimensioni degli affreschi, per poi riassemblarle successivamente.

Grazie a questa operazione i restauratori scoprirono le sinopie sottostanti, di grande qualità, alcune delle quali dotate di chiaroscuro, che si decise di strappare e rendere visibili a tutti. Attualmente, infatti, si trovano nel Museo delle Sinopie, dove sono state collocate dopo gli opportuni interventi di restauro, che compresero la pulitura ed il trasferimento della superficie su vetroresina, fatta aderire con il caseato di calcio.

Gli affreschi, invece, vennero incollati e fatti aderire con il caseato di calcio sulastre di eternit, materiale tossico che oggi è vietato utilizzare, al quale Cesare Brandi si oppose in contrasto con l’opinione di Piero Sanpaolesi. Il tutto venne poi posto su un telaio di legno.

Carlo Giantomassi ha poi concentrato il proprio discorso sulle vicende dei tre affreschi di Buffalmacco: “Trionfo della Morte”, “Tebaide” e “Giudizio Universale”.

Dopo lo strappo di questi si è scoperto che l’artista utilizzava uno strato di cannucciato, ovvero un intreccio di chiodi o sbarre di ferro, sotto all’arriccio. Per questo motivo il suo lavoro si è conservato meglio degli altri perché non andava a diretto contatto col muro. Si tratta di un unicum molto affascinante.

A causa delle vicende alle quali sono stati sottoposti gli affreschi è difficile capire quale fosse il modo di procedere artistico e pittorico di Buffalmacco; tuttavia, grazie alle sinopie, si sa che non utilizzava cartoni per il disegno preparatorio, bensì eseguiva un disegno rapido con della terra rossa. È stato notato che si avvaleva dell’incisione diretta, attraverso righe o squadre, per i tracciati delle architetture e per limitare i confini delle aureole che andavano doratee degli abiti che dovevano essere campiti con l’azzurrite. Le decorazioni sono molto raffinate ed eseguite a mano; per questo si può ipotizzare che tra gli aiuti dell’artista fosse presente un miniatore.  

Fino alla metà degli anni ’80 gli affreschi furono conservati in una stanza, tuttavia il caseato di calcio si era degradato e parti del colore si stavano staccando, per cui era necessario trasferire la pellicola pittorica su un nuovo supporto con un diverso collante. Nel Camposanto venne allestito un laboratorio e i restauratori procedettero attraverso dodici differenti fasi, un numero eccessivo che comportò un trauma per gli affreschi. Inoltre si optò per un supporto in vetroresina, flessibile e quindi alterabile se sottoposto alle variazioni delle condizioni atmosferiche, causando ulteriori distacchi della pellicola pittorica. Si iniziò comunque a ricollocarli nel Camposanto.

Nel 2008 l’Opera della Primaziale di Pisa finanziò la costruzione di nuovi laboratori non distanti dal Camposanto, realizzati appositamente per completare il restauro di questi affreschi. A partire dal 2009, quindi, Carlo Giantomassi proseguì i lavori di trasferimento su un nuovo telaio degli affreschi rimasti, ovvero i tre di Buffalmacco. Venne scelto un nuovo supporto, l’aerolam, consistente in un nucleo di fori a nido d’ape in alluminio racchiuso da due fogli di lana di vetro e resina,utilizzato anche per i pannelli interni di aerei e navi.

Per la pulitura dalle colle quasi irreversibili dello strappo, presenti sia sul fronte dell’affresco che sul suo retro, è stato necessario l’impiego di batteri forniti dalla Facoltà di Biologia dell’Università del Molise. Nutrendosi essi unicamente dei residui di colla animale e non essendo pericolosi per l’ambiente e per l’uomo, sono stati lo strumento perfetto per ottenere il massimo dei risultati.

Il distacco dall’eternit è stato effettuato attraverso l’applicazione di teli di cotone sulla superficie, bagnati con impacchi di alcool, e successivamente con l’azione meccanica di un rullo. Si tratta di un procedimento lento e molto rischioso per la pellicola pittorica, tuttavia l’abilità dei restauratori ha consentito un esito più che positivo anche in questa occasione.

Per quanto riguarda la reintegrazione pittorica degli affreschi per la quale sono state fondamentali le testimonianze fotografiche Alinari si decise di utilizzare l’acquarello poiché lo si può eliminare facilmente con acqua; ed essendo trasparente è meno invadente all’occhio dell’osservatore. Lo si fece anche per continuità con gli interventi dei decenni precedenti, ove era stata utilizzata questa tecnica.

Dopo questa fase, l’affresco è stato arrotolato tramite un rullo e trasportato in Camposanto e qui fissato a un telaio in alluminio rigido e con un sistema di aggancio issato alle pareti.

Il problema della condensa è stato risolto inserendo un telo scaldante tra il telaio e il supporto, isolato però dal muro così che a scaldarsi sia unicamente la superficie dell’affresco. La temperatura è controllata da un termometro collegato col CNR di Bologna in modo che qualora essa si abbassasse, quella dell’affresco possa essere facilmente stabilizzata. Avendo riscontrato la notevole utilità di questo monitoraggio, verrà applicato in futuro anche agli altri affreschi già ricollocati. Un’eccezione è stata fatta per la “Crocifissione” di Francesco Traini poiché versava in pessime condizioni. In concomitanza con questi lavori si stanno reinserendo anche le cornici pittoriche che erano state restaurate, ma che mai erano state ricollocate in Camposanto.

In conclusione, l’incontro è stato molto apprezzato per l’interessante e istruttivo aggiornamento sulle tecniche di restauro. Nonostante questa disciplina possa apparire di non immediato apprezzamento per via degli aspetti più tecnici, Carlo Giantomassi ha permesso ai numerosi presenti, anche grazie al supporto di fotografie, di comprendere il complesso procedimento al termine del quale si vedrà ricollocato in Camposanto, per la prima volta dopo l’esplosione della granata incendiaria, il “Trionfo della Morte” di Buffalmacco.