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Le macchine di Bruno Munari

Articolo redatto per la rubrica CollegARTI da Roberta Siddi e Andrea Rossato in occasione della conferenza tenuta da Piero Antonello e dedicata a Bruno Munari.

31 gennaio 2018

 

Le macchine di Bruno Munari

Roberta Siddi e Andrea Rossato

 

Il Dipartimento delle Arti, per il ciclo “I mercoledì di Santa Cristina”, inaugura il 2018 con un’interessante conferenza dedicata a Bruno Munari (1907-1998) e alle sue macchine, tenuta da Pierpaolo Antonello. Ex studente dell’Università di Bologna e con dottorato conseguito a ​Stanford, Pierpaolo Antonello oggi insegna alla Cambridge University (UK) ed è conosciuto, in particolare, per i suoi saggi sulla cultura italiana. Il tema dell’incontro è stato suggerito dalla sua recente pubblicazione “Bruno Munari: The Lightness of Art”, primo libro in lingua inglese dedicato all’artista, il cui intento è rivalutarne l’importanza all’interno del vasto panorama artistico del Novecento.

Artista, designer e scrittore, con le sue opere Bruno Munari ha valorizzato la rappresentazione e l’uso della tecnologia, in particolare il ruolo della macchina. Nato a Milano nel 1907, sin da bambino mostra una spiccata abilità artigianale che lo porta a creare giocattoli per i suoi amici. Importanti per la sua formazione sono state le prime sperimentazioni tenutesi nei “laboratori” di famiglia. Nel ’26 ha, infatti, modo di lavorare con lo zio ingegnere, esperienza che gli permette di entrare in contatto con la realtà tecnico-meccanica dei materiali e delle pratiche di costruzione, fonte d’ispirazione per le sue opere future.

La sua concezione della macchina passa per l’estetica futurista, suo perimetro formativo. I temi e i soggetti proposti dal Futurismo richiamano la sua attenzione: la nuova concezione dell’arte vedeva la macchina quale protagonista assoluta, in rottura con i modelli del passato, e la esaltava divinizzandola. Velocità, dinamismo, rumore e progresso sono i capisaldi del movimento d’avanguardia promosso da Filippo Tommaso Marinetti. Munari, in un primo momento vicino alla cerchia di artisti e a Marinetti stesso, ben presto se ne distacca, finendo per superare e abbattere i limiti della loro pratica.

Per Munari la macchina non è fonte di angoscia, bensì un dato oggettivo: prendendo spunti dagli altri movimenti coevi - quali il Surrealismo e il Dadasimo - ne sviluppa una personalissima concezione, che unisce il dato meccanico alla giocosità caratterizzante l’infanzia. “RrRr: Rumore di aeroplano” (1927) è l’opera chiave per comprendere questo suo periodo a stretto contatto con i futuristi: dietro l’apparente esecuzione di un compitino da bravo scolaro, si nasconde una non troppo velata presa in giro al movimento, sia per l’uso ironico dell’onomatopea sia per lo svuotamento della dinamicità del soggetto rappresentato.

Il superamento della ricerca di dinamismo cara ai Futuristi avviene negli anni ’30 del Novecento con la creazione delle “Macchine inutili”, congegni da considerarsi come le prime opere cinetiche della Storia dell’Arte. Con le macchine, perfettamente funzionanti, Munari riesce ad oltrepassare il limite espressivo dell’astrattismo pittorico, liberandosi dalla staticità e bidimensionalità della tela e assecondando una concezione ambientale concorde al ritmo della natura che non provoca sensazioni di imprevedibilità. Le sue macchine sono caratterizzate da ironia, essenzialità e riduzione geometrica, con una forma che le avvicina al giocattolo.

Questi sono anni produttivi anche dal punto di vista letterario. Nel 1942 vede la luce la prima pubblicazione di Munari dedicata all’infanzia, “Abecedario”, libro che avvicina i bambini all’arte per mezzo della sperimentazione e all’esplorazione attraverso il gioco. Al suo interno, tavole illustrate spiegano ai piccoli come assemblare e montare macchine dalle funzioni inconsuete: misuratori automatici del tempo di cottura per uova sode, agitatori di code per cani pigri, motori a lucertola per tartarughe stanche, ecc. Portano la sua firma anche ventiquattro “bollettini”  del Movimento Arte Concreta di cui cura la grafica; famoso il decimo, nel quale firma una serie di quattro manifesti, sorta di presa in giro alla sovrabbondanza di trattati in quegli anni dedicati all’arte.

Le prime “Macchine aritmiche” sono datate 1951, ma vengono esposte solo alcuni anni più tardi in importanti mostre collettive. Queste opere d'arte testimoniano un lungo processo intellettuale teso al raggiungimento di una sintesi teorica tra la necessità di darsi delle regole generative e, dall'altra, l'esigenza contrastante di scardinarle, introducendo come elemento aleatorio una elementare forza elastica. Sono oggetti intrinsecamente stupidi, semplici e dalla facile riproduzione; è il caso di “Sbatacchione” del 1953, nata come macchina inutile e costruita su un grammofono. Altre opere degne di nota sono “I Fossili del 2000”, composta da valvole termoioniche fossilizzate nel metacrilato che fanno riflettere sulla obsolescenza della tecnologia moderna, o “Proiettori di diapositive”, che si occupano della proiezione diretta dei materiali. Uno dei grandi meriti di Munari è stato quello di avere sempre saputo sfruttare, a fini artistici, la tecnologia a lui contemporanea, come nel caso della fotocopiatrice: immessa nel mercato a partire dal 1960, grazie ad essa l’artista riesce a dare una svolta alla sua produzione attraverso pattern e texture estrapolati da immagini.

A 20 anni dalla sua scomparsa, non si è ancora fatta luce sul “caso Munari”. I grandi meriti e la vivacità artistica dimostrata in vita non gli sono stati, ad oggi, ancora riconosciuti appieno. Proprio questa è una delle finalità della mostra “Terra ed Aria” tenutasi a Palazzo Pretorio di Cittadella (PD), curata da Guido Bartorelli – presente alla conferenza – e promossa dalla Fondazione Palazzo Pretorio in collaborazione con il Dipartimento dei Beni culturali dell’Università degli Studi di Padova e con l’Associazione Bruno Munari. Una mostra che ha saputo evidenziare al meglio la mente pragmatica, ma al contempo leggera, dell’artista.

La conferenza si è conclusa con un interessante dibattito sul rapporto e le influenze tra Munari e gli artisti a lui contemporanei, quali Duchamp e Picabia. Munari ha manifestato un avvicinamento agli artisti dadaisti e al loro gusto per l’assurdo e il nonsense, ma se ne è al contempo distaccato per la concretezza materiale e l’effettivo movimento insito alle sue opere.

Quest’ultimo aspetto è di fondamentale importanza per delineare nella sua completezza la figura di Munari, un binomio di creatività e innovazione artistica che spicca con originalità fino dagli anni ’30 del Novecento.