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Luigi Crespi ritrattista nell'età di Papa Lambertini

Articolo redatto da Virginia Longo per la rubrica CollegARTI in occasione della conferenza, tenutasi presso la Fondazione Federico Zeri, sull'artista e commerciante d'arte Luigi Crespi.

16 novembre 2017

 

Luigi Crespi ritrattista nell'età di Papa Lambertini

Virginia Longo

 

Il 16 novembre presso la Fondazione Federico Zeri si è tenuta una conferenza volta ad approfondire la figura di Luigi Crespi, artista e commerciante d’arte nella Bologna di Papa Lambertini, cui è stata dedicata la mostra organizzata nelle sale del museo Davia Bargellini. All’incontro hanno partecipato il Direttore della Fondazione Andrea Bacchi, che ha dato il via al dibattito, Irene Graziani, docente di Pittura in Età Moderna presso il Dipartimento di Arti Visive e Angelo Mazza, uno dei principali esperti di pittura Bolognese del Seicento e del Settecento e conservatore delle Collezioni d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna.

Sicuramente personaggio controverso e affascinante nei suoi molteplici aspetti e nel suo modo di vivere, Luigi Crespi non può essere certo identificato come l’artista ‘genio folle e incompreso’, visto che nella sua vita si è dedicato anche alle attività di storiografo e commerciante. Figlio del noto pittore bolognese Giuseppe Maria, Luigi aveva un innegabile fiuto per gli affari: si deve a lui, infatti, la vendita dell’Annunciazione di Francesco del Cossa alla Gemäldegalerie di Dresda.

Per certi aspetti è stato un artista poco studiato ed è proprio questa la ragione principale che ha portato Mark Gregory D’Apuzzo, critico e Conservatore del Museo Davia Bargellini e Irene Graziani a sviluppare l’idea di questa mostra che è stata inaugurata il 15 settembre e si è conclusa nei primi giorni di dicembre.

La Fondazione Zeri ha voluto ricordare l’artista presentando anche il catalogo curato dagli stessi Irene Graziani e Mark Gregory D’Apuzzo dal titolo ‘Luigi Crespi ritrattista nell’età di Papa Lambertini’.

È la prima volta che viene dedicata una mostra a questo pittore che, come ricorda Andrea Bacchi: “E’ stato il primo artista che ho conosciuto quando arrivai a Bologna”. Angelo Mazza è stato invitato ad approfondire la tecnica e lo stile di Luigi Crespi, mettendo a confronto tra di loro alcune sue opere presenti in mostra. Afferma: “Le opere di Luigi Crespi all’interno delle sale del Davia Bargellini si inseriscono in un contesto particolare, in quanto l’atmosfera del museo richiama alla memoria le classiche “scenette settecentesche”, dal mobilio alla scelta degli accessori di arredamento. Sulle pareti del museo esistono già dei ritratti a firma Luigi Crespi e, in occasione della mostra, si sono volute aggiungere alcune opere attualmente dislocate in altre sedi. Ecco perché non poteva essere scelto uno spazio più adatto per ricordare questo artista”.

Il catalogo della mostra vuole indagare la sua figura a 360 gradi”. Tra le opere presenti nel catalogo l’Autoritratto del 1771, oggi conservato presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna, del quale Angelo Mazza dice: “Sin da quest’opera è evidente come Luigi Crespi non si voglia associare alla figura del padre Giuseppe Maria il quale, secondo alcuni storici dell’epoca, si presentava come un ‘acconciatore di scranne’. Nell’Autoritratto, infatti, è evidente come il figlio si mostri con abiti e pose assolutamente opposte a quelle del padre: il polso si appoggia a un libro, la Felsina Pittrice, del cui terzo tomo è autore, e la mano curata in una posa elegante impugna la tavolozza. Indossa una giacca con bottoni dorati, le maniche si aprono in ampi panneggi bianchi e la parrucca è perfettamente pettinata con i boccoli ordinati, secondo la moda degli aristocratici. Appare poi, se si analizzano i dettagli, la scritta Antonius, che, alla luce degli approfonditi studi condotti da Giovanna Perini Folesani, docente di Museologia e critica artistica all’Università di Urbino e autrice di alcuni contributi presenti nel catalogo della mostra, rivela sicuramente un’intenzionale falsificazione di identità”.

Sono, ovviamente, “trovate” dello stesso Crespi per mettere fumo negli occhi o, comunque, distrarre l’osservatore: nell’Autoritratto del 1778, conservato alla Galleria dell’Accademia di Venezia, c’è qualcosa che collega inequivocabilmente quest’opera a quella della medesima tipologia datata 1771. Luigi Crespi – puntualizza Angelo Mazza – tende sempre a “truccare le carte”. Se si guarda l’Autoritratto del 1778 non si possono escludere dall’indagine visiva i libri che fanno da sfondo al soggetto che sta dipingendo, proprio come, con l’enigmatica scritta “Antonius” nell’Autoritratto del 1771, si inseriva un elemento anomalo con lo scopo di catturare l’attenzione dello spettatore e, al contempo, di presentarsi con un’identità diversa da quella reale, sottolineando un’attitudine all’erudizione.

Luigi Crespi, però, non era solo un artista. Era anche un religioso, un abate protetto da Benedetto XIV, il papa bolognese Prospero Lambertini, ricordato per il suo costante sforzo di promozione culturale della città e per l’iniziativa della ristrutturazione e restauro di chiese ed edifici sacri. Fu suo il diniego, nel 1757, al rifacimento in stile settecentesco della chiesa di Santa Maria di Galliera, uno dei pochi testamenti dell’architettura bentivolesca a Bologna. In stretti rapporti con Giuseppe Maria Crespi, il vescovo bolognese fu un fervido sostenitore del secondogenito Luigi, del quale assecondò la carriera ecclesiastica nominandolo segretario generale della diocesi di Bologna, canonico della collegiata di Santa Maria Maggiore e, infine, dopo l’elezione al soglio pontifico, suo cappellano segreto.

Luigi Crespi è ricordato, inoltre, come fautore di diverse esportazioni di opere d’arte: Nino e Semiramide di Guido Reni, oltre alla già citata Pala dell’Osservanza di Francesco del Cossa si trovano, infatti, alla Gemaldegalerie di Dresda a causa della sua ‘operosità’. È questo un periodo storico importante, in cui il gusto per il collezionismo nei palazzi e nelle residenze aristocratiche dilaga un po’ in tutta Europa e giunge al culmine proprio all’epoca di Luigi Crespi, nella seconda metà del Settecento. Le splendide opere di Guido Reni e di Francesco Del Cossa erano state scelte proprio da Augusto III, Elettore di Sassonia e grande amante delle collezioni d’arte. Fu lui, infatti, che creò la Gemaldegalerie di Dresda. Luigi Crespi si era fatto  diversi nemici in patria, proprio per i suoi contatti con l’estero e per il suo zelo nell’intrattenere rapporti con l’Elettore di Sassonia, che in quegli anni era particolarmente affascinato dalle opere di provenienza emiliana: risiede tutt’ora a Dresda, ad esempio, la Madonna della Rosa del Parmigianino.

Angelo Mazza ricorda un interessante aneddoto sull’artista a tal proposito: “Lo scrittore bolognese Marcello Oretti lo odiava a tal punto che quando un giorno si trovò nel convento dei Frati osservanti di Imola e notò una pala d’altare eseguita da Luigi Crespi lo definì ‘uomo delle arti molestissimo’”.  

Per meglio esporre la figura di Luigi, Angelo Mazza fa una piccola digressione sullo stile del padre Giuseppe Maria, proponendo una serie di opere come il piccolo Ritratto al giovane Luigi e il Ritratto a Zanobio Troni, argentiere bolognese. Diversamente dal figlio – spiega – Giuseppe Maria usa un linguaggio più basso, prosastico: la sua è una pittura che non rifinisce la forma, quasi una fotografia sfocata. Secondo Francesco Arcangeli, “nella pittura di Giuseppe Maria il tempo è attivo, trascorrente, una realtà concreta, esistenziale”.

Luigi Crespi nel 1734 frequenta l’ambiente toscano e prende spunto dalle opere che osserva e studia agli Uffizi. “Luigi è più rifinito, analitico e nitido rispetto al padre – puntualizza Angelo Mazza – e i suoi ritratti vogliono restituire lo spirito del tempo”. Diventano, così, fondamentali certi dettagli che servono per l’esatta datazione delle opere: è proprio grazie allo studio di elementi legati alla moda del tempo, agli accessori e all’arredamento che si sono potute fare recentemente alcune ipotesi più esatte sulla data dei dipinti.

Quello che seduce dei ritratti di Luigi Crespi è proprio la cura per i dettagli dell’abbigliamento e degli accessori appartenenti a quella classe aristocratica a cui l’artista aspirerebbe ad appartenere e di cui condivide i modi. Tutto ciò è evidente nei tre ritratti dei Principi Argonauti del 1759, oppure nel Ritratto della giovane dama con cagnolino, utilizzato anche come locandina della mostra. 

Il Settecento è ancora, nelle opere di Luigi Crespi, il secolo dell’aristocrazia, delle parrucche, della cipria e degli abiti elegantissimi. Probabilmente il ritratto rappresenta l’ultimo sforzo per apparire e imporre la propria egemonia come classe sociale in un momento in cui l’aristocrazia stava perdendo sempre più importanza, oscurata dall’incedere di quella borghesia meno incipriata e imbellettata che tanto piaceva, invece, al Papa bolognese Lambertini e alla quale si affidò per il progresso della cultura e della scienza in città durante gli anni del suo papato.

A conclusione di un incontro così ricco di spunti di riflessione e occasioni di approfondimento, non possiamo che auspicare un numero maggiore di conferenze su artisti ancora poco indagati, perché servono non solo ad approfondire, come in questo caso, aspetti stilistici poco noti, ma anche come focus sulla società, sulla moda, sull’abbigliamento e sulle molteplici sfumature della cultura di un dato periodo storico.