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Mercanti, collezionisti e conoscitori nella Roma Sabauda (1870-1915)

Articolo redatto da Lucilla Benassi e Martina Agostini per la rubrica CollegARTI a seguito delle due giornate di studio sul mercato dell'arte in Italia intorno al 1900.

15 novembre 2017

 

Mercanti, collezionisti e conoscitori nella Roma Sabauda (1870-1915)

Lucilla Benassi e Martina Agostini

 

Il 14 e 15 novembre si sono tenute due giornate di studio sul mercato dell'arte in Italia intorno al 1900 promosse dal Kunsthistorisches Institut in Florenz in collaborazione con la Fondazione Federico Zeri; l'obiettivo del convegno - la cui prima parte si è svolta a Firenze e la seconda a Bologna presso la sede della Fondazione Zeri - era quello di analizzare le dinamiche e gli attori di questo ambiente alla luce di differenti discipline quali la storia dell'arte, la storia economica e la sociologia. A Firenze, in particolare, è stato approfondito l'utilizzo del mezzo fotografico come strumento di studio delle attività antiquarie, mentre gli incontri bolognesi si sono incentrati sul mondo degli antiquari nella Roma Sabauda - tra il 1870 e il 1915 - e sugli aspetti del commercio dell'arte in una città appena divenuta capitale del Regno d'Italia, prima e dopo l'entrata in vigore della normativa sull'inalienabilità delle antichità e delle belle arti (legge n. 324 del 1909).

La giornata bolognese è stata particolarmente densa di spunti di approfondimento e non è possibile, in questa sede, ripercorrere la complessità dei temi trattati, ragione per la quale ci soffermeremo, per ogni intervento, solo su alcuni elementi ritenuti significativi.

Ha aperto la giornata il saluto di Andrea Bacchi, direttore della Fondazione Federico Zeri e curatore della giornata di studio insieme a Giovanna Capitelli, docente di Arte Moderna presso l'Università della Calabria.

Giovanna Capitelli ha iniziato il proprio intervento citando l’espressione, definita icastica, “Romae omnia venalia esse” (“a Roma tutto è in vendita”) attraverso la quale, a tutt’oggi, gran parte degli intellettuali osserva – chi con atteggiamento  moralistico chi partecipato - le vicende del mercato antiquario nella Roma post napoleonica. Si tratta, infatti, di un mercato percorso da una serie di vicende definite “incandescenti” e certamente dominato da molta opacità, del quale ci si prefigge di analizzare fonti e strumenti.

Questa evidenza, insieme alla diffusione dei falsi, rende molto complessi gli studi sul mercato di quel periodo, le cui vicende restano, peraltro, fortemente intrecciate con i percorsi legislativi di tutela del patrimonio storico artistico sui quali il neonato Stato italiano stava riflettendo. Giovanna Capitelli ha concluso compiendo un excursus su una serie di figure di mercanti e sulle loro strategie di autorappresentazione, ma anche sui luoghi privilegiati per i commerci, auspicando che sempre più si proceda all’approfondimento di questi temi, assolutamente complementari all’analisi della cultura di un dato periodo storico.

Il secondo intervento “Protagonisti e comprimari tra collezionismo e mercato” è stato curato da Roberto Cobianchi dell’Università degli Studi di Messina, il quale ha delineato il profilo di alcune figure la cui attività ha concorso allo sviluppo di questa tipologia di commerci. James Marshall, agente unico del MET di New York per gli acquisti di antichità classiche, che ha lasciato un fondo di fotografie utile fonte di informazioni per la comprensione del mercato antiquario; Mariano Rocchi, pittore e collezionista, in particolare di opere di arte umbra, pubblicizzata attraverso un catalogo corredato di foto e redatto in inglese, in modo da poter raggiungere un pubblico internazionale; Beatrice Castellani,  figlia del mercante Alessandro, che nel 1884 compì la prima vendita della collezione del padre dopo la morte di questi.

Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, dell’Università di Roma “Tor Vergata”, ha approfondito il tema del mercato della grafica, molto fiorente in quegli anni anche grazie all’atteggiamento “miope” dello Stato e poco attento alla tutela di questa tipologia di beni. La gestione del mercato era in mano ai librai, le cui botteghe divennero una sorta di “salotti” per i funzionari di musei e collezioni pubbliche, intellettuali interessati alla tutela e sovente diretti acquirenti per conto delle istituzioni con le quali collaboravano. L’abbondanza di questi beni attrasse anche un corposo numero di collezionisti, provenienti da ogni parte d’Europa e del mondo. Simonetta Prosperi cita le vicende di alcuni tra i più famosi librai: tra questi Piero Pieri, nella cui bottega pare fosse possibile rintracciare disegni di grande pregio, alcuni dei quali acquisiti poi da musei pubblici. Un nucleo consistente di vedute del Settecento romano tra le più belle in circolazione, appartenenti a Piero Pieri, vennero raccolte in un catalogo da Pio Luzzietti, dopo averne rilevato l’attività.

Virginia Napoleone, docente dell'Università di Roma “Tor Vergata”, ha parlato della Galleria Simonetti, inquadrando la figura dell'artista, antiquario e collezionista Attilio Simonetti, più conosciuto per la sua produzione artistica che per l'attività di mercante. Grazie ai suoi numerosi viaggi in Europa, Simonetti era entrato in contatto con moltissimi artisti internazionali e, frequentando botteghe e aste, aveva avuto occasione di scovare opere d'arte medievale e pezzi d'antiquariato di ogni genere e di organizzare una collezione all’inizio ospitata nel proprio atelier e in seguito in una galleria presso Palazzo Odescalchi. La collezione constava di una considerevole serie di dipinti a testimonianza dell'interesse del tempo per l'arte barocca; per acquistare il palazzo egli ipotecò la collezione, il che ci consente, oggi, di averne un elenco dettagliato e preciso.

Il contributo “Da Roma a Baltimora: la collezione Massarenti” di Maria Saveria Ruga, docente dell'Accademia di Belle Arti di Catanzaro e presso l’Università della Calabria, ha chiuso la mattinata. La ricerca della studiosa ha preso le mosse dal catalogo che lo stesso Federico Zeri aveva realizzato per il The Walters Art Museum di Baltimora, nel quale è confluita, attraverso una vendita molto discussa, la quasi totalità della raccolta in questione.

Don Marcello Massarenti aveva raccolto in un'eclettica galleria non solo pezzi di antiquariato, ma anche opere d'arte appartenenti a varie scuole e secoli, coerentemente collezionate per creare un “prodotto” completo e allettante agli occhi dei collezionisti esteri. Massarenti riuscì a trovare nel magnate americano Henry Walkers un ottimo acquirente e a vendergli en bloc, nel 1902, 1700 pezzi accolti, poi, nel già citato museo d'arte di Baltimora.

Al di là del valore effettivo delle opere coinvolte la collezione ha catalizzato, per la sua eccezionale vicenda di vendita e di esportazione, l'attenzione di nomi importanti tra cui Adolfo Venturi, Wilhelm von Bode, Bernard Berenson e, infine, proprio Federico Zeri.

La sessione pomeridiana è proseguita nella linea tracciata in mattinata dalla seconda giornata di studi.

A presiedere il dibattito Gail Feigenbaum, associate director del Getty Research Institute di Los Angeles, a testimoniare la vocazione internazionale della Fondazione Zeri.

Proprio in linea con questa apertura ad eccellenti figure di studiosi e ricercatori, il primo intervento è stato quello della storica dell'arte Vardui Kalpakcian, la quale ha introdotto uno dei personaggi più eccentrici e determinanti nel panorama del collezionismo d'arte a cavallo tra XIX e XX secolo: il russo Gregorio Stroganoff. Conosciuto anche come il “principe degli antiquari”, era uno dei tanti nobili stranieri che popolavano il vivace sfondo della Roma sabauda. Il suo palazzo, situato vicino a Trinità dei Monti, custodiva una collezione tale da meritare un posto nelle guide ai luoghi di interesse della città e addirittura ne Il Cicerone di Jacob Burckhardt.

I pezzi collezionati dal conte - dall'arte egizia alle collezioni greco-romane, dai fondi d'oro agli avori e ai tessuti, ora conservati nei musei di tutto il mondo -sono stati presentati per la prima volta al pubblico nel catalogo pubblicato dopo la morte di Stroganoff. Non è da trascurare il grande talento del conte russo non solo nell'ambito della connoisseurship, ma anche nell'individuazione dei falsi, repentinamente eliminati dalla sua collezione. Il suo contributo costituisce, quindi, un fondamentale punto di partenza per chi si proponga di ricostruire la storia di numerose opere d'arte presenti sul mercato a lui contemporaneo.

La strada aperta da Vardui Kalpakcian sullo sfondo della Roma dannunziana - Stroganoff è infatti citato proprio nel romanzo “Il piacere” - è proseguita con l'intervento “Fortuna e sfortuna della scultura barocca nella Roma di D’Annunzio” di Andrea Bacchi. D'Annunzio è stato interprete di un gusto singolare per la “Roma dei Papi”, la Roma barocca figlia di un secolo indicato come periodo di decadenza, ma che ha saputo esercitare un grande fascino e che iniziò a diffondersi, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, non solo in Italia ma anche in Europa.

La rinnovata fortuna dell'arte barocca, in particolare della scultura, non andò tuttavia di pari passo con studi che ne garantissero una conoscenza filologica; proprio questa, insieme ad una legislazione non rigorosa, fu la causa dell'alienazione e dell'espatrio di molte opere d'arte, anche di artisti di grande fama. Il busto di una nipote di Urbano VIII - della bottega del Bernini – fu verosimilmente ceduto in questi anni dalla famiglia Sciarra, che ne era proprietaria, aggirando il fidecommesso; subì la stessa vicenda il busto della madre di Urbano VIII, opera di Bernini forse non riconosciuta.  Altrettanto significativa fu la vendita della collezione Borghese, le cui opere pittoriche sono in gran parte rimaste in patria; non altrettanto può dirsi per le sculture, forse non identificate e, pertanto, oggetto di vendite all’estero a privati o ad istituzioni museali.

Il punto di svolta negli studi è rappresentato dalla pubblicazione della monografia “Il Bernini” di Stanislao Fraschetti con prefazione di Adolfo Venturi, che mette in luce, finalmente, l’importanza dell'analisi dei documenti d'archivio e di uno studio dal vivo delle opere. È proprio da questo momento che le vendite saranno sempre più frequentemente accompagnate da una filologica analisi dei beni, andando così ad armonizzare le iniziative di mercanti e antiquari con gli studi degli storici dell'arte.

Stefano Grandesso, storico dell’arte, ha poi ripercorso la storia della collezione dei Torlonia nell'intervento “La vendita delle disiecta membra di Palazzo Torlonia a Piazza Venezia”.

I Torlonia, famiglia di banchieri che avevano acquisito il titolo principesco a Roma, avevano raccolto nel proprio palazzo una grande collezione d'arte che accoglieva artisti di spicco quali Canova, Thorvaldsen, Camuccini, Landi, ma anche Palagi e Hayez, che si stavano facendo interpreti di un revival della tecnica dell'affresco.

La demolizione del palazzo, avvenuta nel 1901 a seguito della volontà di riassetto urbanistico della capitale d'Italia, ha provocato la perdita di una delle più grandi testimonianze del mecenatismo principesco romano dell'Ottocento e, in quanto tale, documento delle arti dell'età napoleonica e della Restaurazione a Roma.

I marmi della galleria dell'Ercole furono donati allo Stato per essere collocati alla Galleria Nazionale di Palazzo Corsini; gli arredi e il resto della decorazione pittorica e plastica finirono sul mercato, in particolare nella casa d'asta di Giuseppe Sangiorgi. La puntuale documentazione fotografica, sistematica prassi degli antiquari in caso di acquisizione per la vendita di importanti collezioni, ci ha restituito nella sua interezza uno degli esempi più significativi del gusto artistico dell'Ottocento.

L'ultimo intervento, a cura di Elisabetta Sambo della Fondazione Zeri, ha voluto indagare il rapporto problematico tra Adolfo Venturi e il mercato, a partire dallo studio della corrispondenza dello storico dell’arte. Molto interessante è, infatti,̀ l'analisi dello scambio di lettere con l'antiquario Bardini; il rapporto di collaborazione fra i due era privo di rivalità, ma sempre adombrato da un certo conflitto d'interessi. Da una parte l'antiquario si affidava all'abilità di connoisseurship di Adolfo Venturi per il riconoscimento e la stima di opere che passavano sul mercato; dall'altra questi, nell'interesse delle acquisizioni per conto dello Stato, richiedeva la mediazione di Bardini per informazioni e fotografie.

Un altro ambito che consente di fare luce sul rapporto tra Adolfo Venturi e il mercato è quello della rivista “L'Arte”: egli infatti, per finanziare il proprio progetto, aveva venduto spazi pubblicitari alle Gallerie Sangiorgi e Giacomini e aveva firmato alcuni articoli specificamente dedicati alle vendite di opere d'arte, verosimilmente consapevole che la sua autorità nelle attribuzioni era tale da poter cambiare le sorti del mercato.

La giornata di studi è stata particolarmente apprezzata dal pubblico presente, in quanto ha consentito di aprire la strada a nuove prospettive di approfondimento in un campo ancora troppo poco trattato come quello dello status del mercato d'arte e del collezionismo nella Roma post-unitaria.