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Secondo Atelier di formazione alla ricerca: gli archivi

Articolo redatto da Lisa Andolfi, Luca Chilò e Francesca Commone per la rubrica CollegARTI in occasione del secondo Atelier di formazione alla ricerca.

11 maggio 2017

 

Atelier di formazione alla ricerca: gli archivi

Lisa Andolfi, Luca Chilò e Francesca Commone

 

Forse, oggi più di ieri, le ricerche d’archivio sono un tasto dolente per il giovane studioso; all’inesperienza nel settore, infatti, si aggiunge la poca dimestichezza con i documenti cartacei tipica di chi è “nativo digitale”: se non si posseggono le corrette informazioni, è facile perdersi nella moltitudine di documenti conservati all’interno degli enti, pubblici e privati, italiani rischiando, così, di compromettere l’esito dell’indagine.

Per sopperire a questa carenza l’11 maggio, nell’Aula Magna del Complesso di Santa Cristina, si è svolto il secondo appuntamento degli “Atelier di formazione alla ricerca” presentato dalla professoressa Sandra Costa, coordinatrice del Corso di Laurea Magistrale in Arti Visive, con la partecipazione del professor Giampiero Romanzi, docente di Archivistica presso l’università di Bologna e funzionario della Soprintendenza Archivistica dell’Emilia Romagna. In poche ore Romanzi è riuscito a delineare una panoramica delle maggiori problematiche che si affrontano nell’ambito della ricerca archivistica, con una precisione e un’ampiezza di argomenti che è prerogativa solo di chi ha anni d’esperienza nel settore.

Materia estremamente composita, come ha sottolineato in apertura della conferenza il Professore, l’Archivistica utilizza un linguaggio che fa riferimento a più discipline, ponendo fin dall’inizio un ostacolo all’aspirante ricercatore proprio nell’uso di terminologie dal significato all’apparenza ovvio e chiaro, ma che in realtà nascondono riferimenti altri.

La prima difficoltà evidenziata riguarda le possibili idee preconcette circa le modalità di funzionamento di un archivio. Infatti, benché sia fortemente consigliato arrivare al momento della ricerca con un’idea abbastanza chiara, supportata da fonti bibliografiche, di ciò che si sta cercando, l’organizzazione dell’archivio può presentare alcune difficoltà. Una differenza fondamentale divide il catalogo di una biblioteca e l’inventario di un archivio: nel catalogo, già ordinato per materia o per autore, abbiamo una buona probabilità di trovare ciò che stiamo cercando, mentre non possiamo dire altrettanto dell’archivio, che non ha la stessa connotazione scientifica e lo stesso valore descrittivo. Come sottolinea Romanzi “gli archivi sono agglomerati involontari, formati da una persona o un ente non consapevoli del risvolto futuro della loro attività”; ad esempio famiglie, aziende o persone generano una moltitudine di documenti involontariamente come prodotto secondario dell’attività principale che svolgono, dove “è l’attività che governa, non la materia”.

Per poter “scardinare l’enigmaticità dell’archivio”, il professor Romanzi suggerisce alcune domande fondamentali: “Quale persona o ente può aver prodotto o ricevuto le fonti?”, “Possono essere dislocate in archivi diversi?”, “Nel corso degli anni sono state fatte schedature o inventariazioni?”, “Se sì, ce n’è traccia on-line?”. Solo dopo una disamina di questo genere, anche solo in fase preliminare, si ha una topografia più chiara della ricerca da intraprendere.

Per procedere in maniera adeguata dinanzi alla complessità dell’archivio, è consigliabile definire il perimetro della documentazione e capire successivamente dove poter consultare il materiale ricercato, in quanto l’insieme di fonti che ci troviamo davanti potrebbe non essere completo e soprattutto non ordinato per unità concettuali.

Emerge, dunque, l’importanza del contesto per la comprensione di questo “organismo”. L’aggregazione dei documenti non è casuale, i rapporti non sono “flessibili” e determinati a posteriori poiché nativi e riconducibili ad un modello di sedimentazione dovuto alla stessa attività produttrice: invariabile, quindi, in sede di catalogazione. Differentemente dal nucleo di una collezione, in cui gli elementi possono già essere intellegibili di per sé ed il rapporto fra le componenti è “flessibile”, in un archivio ciò non è possibile ed è il contesto a permetterci di risalire ai vincoli primigeni che legano le sue componenti.

L’ultima fase dell’indagine, come spiegato dal relatore, è quella della ricerca concreta: una volta rintracciata l’ubicazione del documento all’interno dell’archivio occorre, se non si ha la possibilità di acquisirlo in formato digitale, recarsi in loco per la consultazione del materiale.

Qui tre sono gli strumenti a disposizione per indagare il contenuto dell’archivio: elenco, guida e inventario. L’elenco, una lista dei documenti compresi nel suo nucleo, costituisce il primo metodo di riordino del materiale; la guida è, invece, a un livello più alto di lettura che presuppone, di norma, in chi l’ha realizzata, una volontà di mediazione e valorizzazione di questi “organismi”; infine l’ultimo strumento, l’inventario, che congiunge i differenti approcci: quello analitico dell’elenco e quello qualitativo e scientifico della guida, in quanto fornisce informazioni sul soggetto produttore, l’attività da esso svolta e anche le modalità con le quali si sono sedimentate le carte.

Al termine della conferenza gli studenti hanno avuto la possibilità di approfondire con alcune domande le problematiche affrontate dal professor Romanzi. Tra gli argomenti trattati durante questa fase della discussione, particolarmente stimolante si è rivelata la riflessione sul futuro a cui vanno incontro gli archivi (in particolare quelli privati) nell’era del digitale. Infatti, secondo l’opinione del docente, la sempre crescente digitalizzazione di ogni aspetto della nostra vita ha tra i propri effetti una diminuzione considerevole della produzione di testimonianze cartacee, la quale mina alla base il processo di formazione tradizionale degli archivi. La soluzione prospettata dal Professore comprenderebbe la formulazione e l’applicazione di politiche di conservazione precoce, che aiuterebbe a prevenire la perdita di documenti potenzialmente rivelanti, pur comportando il rischio di un surplus di materiale. L’aspetto positivo della digitalizzazione risiede, invece, nella possibilità di organizzare, gestire e condividere l’immenso patrimonio archivistico in modo notevolmente efficace, nei casi più fortunati fruendolo direttamente da casa.

L’incontro è sicuramente servito a farci scoprire una disciplina un po’ troppo trascurata nel XXI secolo, ma che è di vitale importanza nel nostro ambito di studi: l’utilizzo di documenti d’archivio, fonti primarie, costituisce l’elemento cardine di una ricerca che punti a ricostruire l’intero contesto a partire da informazioni “sgravate” da strumentalizzazioni ideologiche. Dobbiamo ricordarci, infatti, che le fonti sono parte integrante del lavoro di qualunque studioso intenda intraprendere una filologica ricostruzione storica: come detto da Giampiero Romanzi “gli archivi sono contro ogni negazionismo”.

L’enorme interesse e la curiosità che l’iniziativa ha destato nei partecipanti è stata testimoniata dal lungo applauso finale, dopo il quale possiamo solo augurarci che questo tipo di formazione possa essere riproposta e divenire, negli anni, una consolidata abitudine.