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Atelier di formazione alla ricerca. Le regole dell’arte: principi, limiti e sfide della legislazione sui beni culturali. Intervista a Daniele Donati

Articolo redatto da Virginia Longo per la rubrica CollegARTI in occasione del Atelier di formazione alla ricerca

26 ottobre 2018

 

Atelier di formazione alla ricerca. Le regole dell’arte: principi, limiti e sfide della legislazione sui beni culturali.
Intervista a Daniele Donati

Virginia Longo

Quando si parla di arte a volte si trascura un aspetto fondamentale: l’influenza esercitata dall’ordinamento giuridico sulla tutela, la fruizione e anche l’incremento del nostro patrimonio culturale. Il 26 ottobre Daniele Donati, professore di diritto amministrativo e di diritto dei beni culturali al Dipartimento di Filosofia e Comunicazione, è stato invitato da Sandra Costa presso l’aula Magna di Santa Cristina per un atelier di formazione su questi temi, troppo spesso ritenuti distanti dalle dinamiche della produzione e della critica dei beni culturali.

È emersa la molteplicità degli attori che determinano l’esistenza, la circolazione e quindi il futuro di un’opera d’arte. Per approfondire meglio la relazione che intercorre tra loro Daniele Donati ha accettato di rispondere ad alcune domande, affinché fosse più comprensibile il complesso assetto delle norme in materia e tutte quelle ‘prove’ che un’opera d’arte deve superare per essere considerata, come spiega Donati, “al meglio possibile”.

A partire dalla sua esperienza, in che modo, e ad opera di chi l’arte arriva ad essere rilevante per il diritto?

È un argomento complesso per la molteplicità degli attori interessati: lo Stato e per alcuni aspetti le Regioni, per quanto riguarda la potestà legislativa; e poi le istituzioni culturali, infine il sentire della comunità che determina il ‘successo’ dell’opera stessa. Ci sono delle regole scritte, nel nostro ordinamento giuridico, che stanno alla base della disciplina delle arti e dei beni culturali: non è assolutamente vero che il mondo del diritto - in questo caso amministrativo - sia lontano dalla storia dell’arte. Già l’articolo 9 della Costituzione, che afferma che la Repubblica italiana promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica, prevede la tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione. Ad esso si aggiungono le norme atte a definire il ruolo che hanno le altre istituzioni, come le Regioni, nel far fruire i beni (nella loro estensione al paesaggio e al patrimonio culturale in senso più ampio) e nel promuovere le attività. Si manifesta, quindi, un potere discrezionale che influisce sulla tutela e promozione di un’opera d’arte, un film o un libro. Oltre a tutti questi attori “politici” e al corpus di leggi, si devono considerare le istituzioni culturali, come ad esempio i musei, che non sono mai neutri nella scelta di cosa esporre e cosa promuovere. Un ruolo non di secondo piano è affidato anche alla comunità, che diventa protagonista in quanto è il soggetto destinatario dell’opera d’arte. La comunità ha il diritto/dovere di promuovere oppure, al contrario, di criticare quello che non percepisce come “il meglio possibile”. Per anni si è cercato di creare un corpus legislativo adatto a definire il valore di un prodotto culturale e artistico e a meglio tutelarlo e conservarlo. Esistono, infatti, due strade per “definire” un’opera d’arte: o ci si affida a un gruppo di esperti con competenze in campo artistico, culturale e audiovisivo, con il rischio di una eccessiva discrezionalità nella scelta; oppure si scrivono delle regole, secondo le quali si promuove o si tutela un certo bene secondo parametri ben definiti. Ma occorre la consapevolezza che si tratta sempre di regole generiche e comunque scritte da qualche legislatore (e quindi dalla politica).

In che modo il corpus di leggi legato alla gestione dei beni culturali è influenzato da aspetti socio politici? Come è cambiata la situazione in Italia dalla propaganda fascista - oggetto di approfondimento nel suo atelier - ad oggi?

È sempre utile interrogarsi sulla natura delle leggi che disciplinano una materia. Il Ministero non può essere esente dall’influenza del particolare momento storico e del clima politico sociale in cui opera. Durante il fascismo, ad esempio, il cinema e la radio erano lo specchio di un’ideologia e si facevano promotori di un tipo di linguaggio visivo e culturale ad essa coerenti. La politica culturale adottata cambia in ragione della sensibilità e del periodo storico. Nella fattispecie noi italiani, rispetto ai beni culturali, siamo stati sempre un po’ timorosi che le ‘contaminazioni tra generi’ potessero intaccarne l’aura, eccedendo in azioni di tutela. Questo atteggiamento ci ha indotto, talvolta, a non garantire sufficiente accessibilità alle opere, soprattutto a discapito dei soggetti culturalmente meno preparati, o all’opposto a farne oggetto di grandi eventi puramente mediatici. In realtà un bene si tutela in modo più efficace se viene garantita una conoscenza quanto più ampia e profonda possibile, rendendo salda la relazione tra artisti e fruitori dell’opera.

In che modo un impianto legislativo a doppio binario (Stato/Regioni) può influire sulla tutela e sulla valorizzazione dei beni?

La tutela è sempre stata competenza dello Stato, mentre la valorizzazione, a livello legislativo, conosce una competenza concorrente con le regioni. Questo ha un senso, visto il grande divario tra Nord e Sud che lo Stato fatica a bilanciare. Per esempio a Reggio Calabria c’è un bellissimo museo della Magna Grecia, con i famosi Bronzi di Riace, che teoricamente dovrebbe incuriosire tutto il pubblico italiano e straniero. È una risorsa inestimabile ma non sufficientemente frequentata. A questo si aggiunga una scarsa presenza di cinema e teatri in certe aree del Paese, e un’offerta tradizionalmente povera certamente alimenta la disabitudine a frequentare i luoghi di cultura. Più in generale sono dell’avviso che la politica culturale statale dovrebbe attivarsi per la sensibilizzazione dei cittadini nei luoghi ove l’offerta dei prodotti culturali è meno vivace, perché sin dall’infanzia si abituino i bambini a frequentare biblioteche, gallerie, cinema e via dicendo. La cultura è una miniera, non esistono solo le industrie e le fabbriche che producono ricchezza. Tutto ciò che è arte dovrebbe essere strutturale all’esistenza di ognuno di noi. Le opere d’arte rendono non solo la vita migliore, ma aiutano a porsi domande e a trovare risposte inattese.

Da luglio 2018 il Ministero dei Beni culturali, fino a quel momento comprensivo non solo della tutela dei beni artistici, ma anche della promozione e valorizzazione del turismo, è diventato MiBAC e il turismo è stato inglobato nel Ministero dell’agricoltura. Crede che questo cambiamento possa avere dei risvolti negativi nell’ambito della valorizzazione dei prodotti culturali?

Direi di no. Non credo che questa divisione possa nuocere più di tanto. Il turismo è ben consapevole delle rilevanza dei luoghi d’arte del nostro Paese, ma non è legato solo all’arte e all’architettura di un luogo, quanto anche alle tradizioni e ai prodotti, come ad esempio quelli enogastronomici. Quindi non credo che occorra una concentrazione nello stesso Ministero. Dalla sua nascita negli anni Settanta, difatti, la legislazione inerente allo spettacolo e quella legata all’arte si sono sviluppate seguendo due strade distinte, e mentre la prima veniva affiancata (per ragioni qui troppo lunghe da spiegare) proprio al turismo, l’arte - e quindi i musei, le gallerie e simili - venivano affidati a logiche di sola conservazione. Il che non ha impedito una crescita costante delle visite nel nostro Paese. Il problema è piuttosto quello del coordinamento tra dicasteri e della politica di giusta ed equilibrata valorizzazione di ciò che possiamo offrire ai visitatori.

L’incontro con Daniele Donati è stato sicuramente un’occasione per affrontare il concetto di opera d’arte, ma anche il tema delle politiche culturali da un punto di vista diverso e forse più ‘pragmatico’, chiamando in causa i soggetti politici e istituzionali che determinano le dinamiche della tutela e della promozione della cultura. Questi incontri ancora una volta confermano la loro utilità nel sollecitare l’attenzione degli studenti verso problematiche che, pur strettamente legate alla vita del nostro patrimonio culturale, non si ha sempre modo di conoscere e approfondire durante un percorso di studi storico artistico.