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D’odio e d’amore. Giorgio Vasari e gli artisti a Bologna: nuove riflessioni dalla mostra degli Uffizi.

Articolo redatto da Piero Offidani per la rubrica collegArti in occasione dell'incontro con Marzia Faietti e Michele Grasso nel contesto de "I mercoledì di Santa Cristina".

6 febbraio 2019

D’odio e d’amore. Giorgio Vasari e gli artisti a Bologna: nuove riflessioni dalla mostra degli Uffizi.

Piero Offidani

Il 6 febbraio, nell’ambito del ciclo di incontri “I mercoledì di Santa Cristina”, in una gremita Aula Magna del Dipartimento delle Arti si è tenuto il secondo degli appuntamenti del 2019, coordinato da Irene Graziani e che ha visto per ospiti i curatori della fortunata mostra “D’odio e d’amore. Giorgio Vasari e gli artisti a Bologna”, conclusasi il 6 gennaio agli Uffizi: Marzia Faietti, coordinatrice del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi e Michele Grasso, catalogatore presso il medesimo istituto.

La mostra, nata all’interno del progetto “Euploos” - un programma di ricerca interdisciplinare che si pone l’obiettivo di riordinare e catalogare digitalmente la raccolta del Gabinetto dei disegni e delle stampe della Galleria degli Uffizi - intendeva approfondire, attraverso un’esposizione di opere di grafica e pittura, il rapporto assai complesso - d’odio e d’amore appunto - che si venne a creare fra Giorgio Vasari e i pittori del suo tempo attivi a Bologna.

Come ha ricordato Marzia Faietti, che ha avviato la conferenza illustrando i punti salienti della prima sezione della mostra, nella Vita di Bartolomeo da Bagnacavallo et altri Pittori Romagnuoli, Vasari definisce diversi di questi artisti come “pittori con il capo pieno di superbia e di fumo”, un epiteto rivolto in realtà soprattutto a coloro che appartenevano alla generazione a lui precedente, con i quali egli venne in contatto - e in contrasto - nel 1539-40, durante il suo secondo soggiorno bolognese. Chiamato infatti a decorare il refettorio del monastero di San Michele in Bosco, il futuro autore delle Vite dovette scontrarsi con una realtà corporativa locale molto forte che certamente vedeva in quel giovane artista forestiero un pericoloso rivale.

L’avversione di Vasari verso costoro derivava, tuttavia, anche da una sua differente concezione dell’arte: da fermo sostenitore del primato del disegno e della formazione accademica, egli non poteva che giudicare negativamente l’operato di questi pittori, continuamente dediti a copiare, senza alcun filtro o criterio selettivo, idee e invenzioni di altri artisti, non praticando perciò, secondo il suo punto di vista, la “buona maniera”. Emblematico è, a tal proposito, l’epiteto negativo che Vasari assegnò ad Amico Aspertini: “un praticaccio inventore”. In realtà ciò che per Vasari era da considerare un’appropriazione indebita, per Aspertini era, al contrario, un metodo di sperimentazione e di studio, finalizzato alla creazione di un proprio stile personale. Secondo quest’ultimo punto di vista Vasari avrebbe perciò dovuto semmai sentirsi lusingato dal fatto che Aspertini copiasse - e perciò studiasse - anche le sue invenzioni, come rivelerebbe il disegno esposto in mostra, conservato agli Uffizi e assegnato recentemente da Marzia Faietti proprio ad Amico, che mostra una figura femminile inginocchiata, alquanto simile, nella posa, al personaggio di Marta nel Cristo in Casa di Marta e Maria, una delle tre pale che Vasari dipinse per la decorazione del refettorio di San Michele.

Un’ulteriore novità è stata apportata dalla mostra al corpus di opere aspertiniane: il Ritratto di Giovanni Achillini detto Filoteo - disegno che Longhi assegnò nel 1956 ad Amico - è stato infatti ricondotto da Marzia Faietti al nome di Francesco Francia, basandosi sia sulla lettura delle fonti antiche che riconoscono al Raibolini quest’opera - più precisamente una lettera del 1674 inviata al Cardinale Leopoldo de’ Medici da Annibale Ranuzzi - che su quella dello stile, il quale mostrerebbe una maggiore vicinanza al Ritratto di Evangelista Scappi del Francia piuttosto che al Ritratto di Alessandro Achillini dell’Aspertini, entrambi esposti.

Michele Grasso ha illustrato le due rimanenti sezioni della mostra, dedicate agli influssi che il panorama artistico bolognese esercitò su Vasari e agli scambi artistici che si vennero a creare fra quest’ultimo e alcuni degli artisti locali della sua generazione, non più rivali ma suoi ammiratori.

A Bologna Vasari studiò certamente una delle opere più celebri presenti in città: l’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello, al tempo nella Chiesa di San Giovanni in Monte. A prova di ciò esiste agli Uffizi un disegno a penna rossa dell’aretino raffigurante una figura barbuta, la quale deriva dal San Paolo dell’Estasi. Fra gli artisti conosciuti a Bologna, quello che maggiormente influenzò Vasari fu tuttavia il Parmigianino, del quale si potevano ammirare in città diverse opere come la celebre Madonna della Rosa, oggi a Dresda. Proprio da tale dipinto sembrerebbe derivare l’immagine della Madonna del disegno vasariano raffigurante la Sacra Famiglia con in Santi Francesco e Antonio. Non sappiamo se Vasari abbia conosciuto direttamente i bozzetti preparatori del dipinto di Parmigianino, certo è però che nella sua celebre collezione di disegni ve ne erano diversi di mano del Mazzola. Fra essi vi era forse quello, oggi al Louvre, raffigurante una Fanciulla che suona una viola, riprodotta fedelmente dall’aretino in un disegno conservato agli Uffizi.

Quasi certamente attorno al 1539-40, in corrispondenza dei lavori a San Michele in Bosco, Vasari conobbe l’artista bolognese che più di tutti si fece portatore della sua interpretazione della “maniera moderna”: Prospero Fontana. Come testimonianza di questo incontro conosciamo un disegno dell’aretino che venne tradotto dal Fontana - al quale molto probabilmente il disegno era stato donato - nella pala, secondo Oretti eseguita nel 1540, del Matrimonio mistico di S. Caterina d’Alessandria, oggi a Berlino ma conservata originariamente nel monastero di S. Giovanni Battista. Tra i due, praticamente coetanei, nacque una collaborazione artistica che, come ci testimoniano più fonti, durò a lungo. Fu infatti proprio il Fontana ad accompagnare Vasari a Rimini nel 1547 per rispondere alla commissione di una pala d’altare da parte di Giovanni Matteo Faetani, abate del monastero di Santa Maria Nuova di Scolca, il quale, in cambio, avrebbe corretto la bozza finale delle Vite prima che queste venissero pubblicate nel 1550. A questo periodo risalirebbe un foglio vasariano che, mentre sul recto riporta alcuni preziosi appunti per la stesura delle Vite, sul verso raffigura una Disputa di S. Caterina d’Alessandria: anche in questo caso Fontana tradusse la composizione del collega in un dipinto, eseguito per la Chiesa del Baraccano a Bologna nel 1551, il cui bozzetto preparatorio è stato esposto proprio a fianco del bozzetto dell’aretino. I curatori della mostra hanno infine ipotizzato che perfino dietro le Storie della Vergine, affrescate nel 1661 da Fontana nella cappella del legato sempre a Bologna, vi possa esserci stata una concezione vasariana: proprio a Vasari, infatti, sono stati attribuiti alcuni bozzetti preparatori che la restante critica ritiene congruo assegnare al Fontana. Il rapporto tra Vasari e Fontana non deve tuttavia essere letto, come si è fatto in passato, come una sudditanza del secondo verso il primo: per questo motivo nella mostra si è cercato di metter bene in evidenza non solo la formazione di Fontana, avvenuta al fianco di Innocenzo da Imola e Perin del Vaga, ma anche la sua sostanziale autonomia artistica.

Marzia Faietti ha voluto concludere l’incontro con una riflessione riguardante l’influenza esercitata dall’opera grafica di Raffaello. Dopo la morte dell’urbinate, non solamente iniziarono a circolare fra gli artisti i suoi disegni, ma anche studi e bozzetti derivanti dalle sue opere. Si conosce ad esempio una copia parziale di un disegno raffaellesco eseguita da Biagio Pupini nella quale, tuttavia, è stata notato anche uno spiccato parmigianinismo, tanto da far supporre l’esistenza in origine di una copia del disegno di Raffaello eseguita dal Mazzola. Il modo di disegnare di Raffaello - un segno che si può definire “antiquario”, al quale fu debitore lo stesso Vasari - si diffuse in tutta l’Italia centro-settentrionale, dando vita a una straordinaria koinè artistico-culturale che per molti aspetti attende ancora di esser indagata. Uno studio sul “segno antiquario del Cinquecento” di derivazione raffaellesca, secondo Marzia Faietti, potrebbe essere pertanto il punto di partenza per una futura iniziativa di ricerca.

Con questa stimolante anticipazione si è pertanto concluso l’incontro, il quale ha permesso di considerare sotto una nuova luce l’importanza dei disegni per la ricerca in ambito storico-artistico. Essi, infatti, sono da considerare come preziosi documenti strettamente connessi fra di loro che, se giustamente interrogati, possono offrire validi strumenti di indagine per la ricostruzione dei contesti artistico-culturali del passato.