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Dominique Poulot: 'The European Museums, Between Unity and Diversity'

Articolo redatto da Anastasia Martini e Alessandro Paolo Lena per la rubrica collegArti in occasione della lectio magistralis tenuta da Dominique Poulot presso l'Istituto di Studi Avanzati di Bologna.

18 settembre 2018


The European Museums, Between Unity and Diversity

Lectio Magistralis di Dominique Poulot

Anastasia Martini e Alessandro Paolo Lena

Martedì 18 settembre 2018 presso l’ISA (Istituto di Studi Avanzati) Dominique Poulot ha tenuto una lectio magistralis dal titolo The European Museums, Between Unity and Diversity, su invito del Dipartimento dei Beni Culturali e del Dipartimento delle Arti. Sandra Costa ha introdotto l’incontro e il relatore sottolineandone l’importanza nell’ambito delle ricerche sulla tutela del patrimonio storico artistico e l’interdisciplinarità che le caratterizza.

Dominique Poulot ha iniziato la sua conferenza parlando della crisi dei musei europei e facendo l’esempio del Museo del Quai Branly di Parigi che intende promuovere un’interazione tra differenti culture, ma che è stato definito dal New York Times un paradigma del fallimento dei musei europei, ancora palcoscenico di uno spettro di civilizzazione occidentale. Se il progetto del Quai Branly si proponeva di trattare i manufatti non occidentali allo stesso modo dell’arte europea, questo proposito sembra sconfessato dalle stesse scelte espositive: il giardino esterno, riproduzione di una foresta africana, apre il percorso ispirato dal romanzo di Joseph Conrad “Cuore di tenebra” e caratterizzato da spazi interni bui, nei quali gli oggetti sono teatralmente colpiti da fasci di luce. Una mise en scène drammatica, dunque, che sottolinea le qualità estetiche degli oggetti a scapito delle informazioni sul contesto di provenienza, quasi a rimarcarne il carattere “esotico”, e giudicato figlio di una prospettiva colonialista verso le culture extraeuropee. Secondo il giornalista l’età dell’Imperialismo coloniale è finita, ma i musei del XXI secolo sembrano smentire questa tesi.

Se da una parte, quindi, l’istituzione museale elabora faticosamente il suo dialogo con il pubblico cui si rivolge, dobbiamo comunque rilevare che l’epoca dei musei europei non è affatto conclusa, come dimostrato dalla costruzione di numerosi nuovi spazi espositivi negli ultimi vent’anni e dal successo continuo delle collezioni già affermate. Solo a titolo di esempio, Dominique Poulot ha mostrato una foto della leader politica birmana Aung San Suu Kyi durante una visita al museo d’Orsay a testimonianza dell’interesse che le gallerie europee suscitano ancora oggi.

L’invenzione del museo moderno è strettamente connessa con l’età dei lumi, quando l’obiettivo dei musei diventa anche quello di sconfiggere l’ignoranza e promuovere le arti e le scienze, incoraggiando i cittadini alla fruizione di opere d’arte finalmente esposte al di fuori delle grandi collezioni private. Dominique Poulot ha illustrato come questo principio si sia sviluppato storicamente secondo diverse declinazioni in Italia, con l’apertura del Museo Pio-Clementino a Roma, o degli Uffizi a Firenze, in Inghilterra con il British Museum nato, però, non da una collezione “di Stato” bensì dalla collezione privata di Hans Sloane, a Parigi che si sarebbe dovuta confrontare con le vicende della Rivoluzione Francese, o a Vienna, ove le collezioni esposte al Palazzo del Belvedere vennero presentate con un catalogo in cui le opere erano divise cronologicamente per autori, scuole ecc., seguendo un nuovo approccio metodologico antesignano della moderna catalogazione.

Dominique Poulot ha sottolineato poi l’importanza che a partire dalle requisizioni napoleoniche hanno assunto i musei come luogo di esaltazione dei valori di carattere nazionalistico, fino a quella che il segretario del Louvre Athanase Lavallée, nel 1815, descrisse col termine di “museomania”, fenomeno culturale che in Francia portò alla realizzazione di quadri e opere commemorative della vittoria contro la Germania, in Inghilterra alla costruzione di un nuovo edificio per il British Museum, e in Prussia fece dire a Wilhelm von Humboldt (1767-1835) che ‟i musei erano istituzioni per la cultura e l’educazione dei cittadini, istituzioni devolute alla Nazione”.

Contro l’idea illuministica del museo universale cresce nel XIX secolo l’interesse per gli allestimenti storici e per i musei nazionali, in grado di veicolare valori patriottici e di proporre una riflessione sul concetto stesso di “nazione”. Risulta esemplare, a questo proposito, il caso del Museo Nazionale ungherese di Budapest, che nel 1848 divenne il centro delle rivendicazioni di maggiore autonomia da parte dell’Ungheria verso il governo austriaco e da cui partì una sommossa contro gli Asburgo. Il XIX secolo fu anche caratterizzato dalle grandi esposizioni universali, specialmente a Londra e Parigi, città che crebbero enormemente e dove di pari passo furono costruiti molti musei tra i quali quelli coloniali con i reperti provenienti, ad esempio, dall’Africa, sovente espressione della supposta supremazia culturale europea su questi paesi.

L’ultima parte della conferenza è stata dedicata ai musei del XX e XXI secolo, costretti a confrontarsi con i grandi musei americani, più “democratici” rispetto a quelli del vecchio continente, essendo questi il risultato di grandi collezioni principesche, e con il fenomeno delle mostre temporanee e dell’importanza attribuita agli spazi che ospitano le collezioni, come dimostra il numero sempre maggiore di musei progettati da celebri architetti. Dominique Poulot ha elencato alcuni problemi ancora irrisolti risalenti al dopoguerra e in particolare legati ai temi della memoria e dell’identità europea, di cui sono testimonianza musei quali l’House of Terror a Budapest, dedicato alle dittature che si sono susseguite in Ungheria e il cui scopo è quello di scuotere lo spettatore attraverso immagini o suoni, oppure il Museo Ebraico a Berlino, che suscita sensazioni di forte empatia. Questi allestimenti presentano caratteristiche altamente emotive, innescando nel visitatore sentimenti di identificazione che lo catapultano in “una terra dei morti”, per riprendere l’espressione dello storico Tony Judt “a land of dead”, usata per descrivere l’Europa dopo il secondo conflitto mondiale. Per mantenere vivo il senso di identità europea è stata realizzata la Casa della Storia Europea a Bruxelles, inaugurata nel 2017 su iniziativa del Parlamento Europeo, un museo, però, costretto a confrontarsi con una molteplicità di problemi politici rispetto ai progetti di allestimento e alla scelta delle opere, e giuridici in quanto alla loro acquisizione. La Casa della Storia Europea problematizza alcuni aspetti dell’idea di “museo nazionale”, cui si ispira, proprio per il suo evidente carattere sovranazionale: il rispetto delle differenze tra i singoli Paesi membri si scontra con la volontà di un racconto “coerente” e “collettivo”, tenendo l’istituzione in bilico tra il desiderio di rafforzare l’identità europea e il pericolo di diventare una sorta di “torre di Babele”.

Dominique Poulot ha concluso la conferenza lasciando aperto l’interrogativo di come sarà il futuro per i musei europei, ma offrendo una chiara idea di quello che è stato fatto e si potrà fare in ambito museale. Il suo intervento è stato accolto con vivo interesse dal numeroso pubblico, che ha raccolto l’opportunità offerta dall’Istituto di Studi Superiori e ha riempito la sala e animato l’incontro stimolando un vivace dibattito.