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È solo un inizio. Il Sessantotto dell'arte

Articolo redatto da Francesca Musiari per la rubrica "collegArti" in occasione della conferenza tenuta da Ester Coen e Riccardo Brizzi e presentata dal professor Claudio Marra per il ciclo de "I mercoledì di Santa Cristina".

21 marzo 2018


È solo un inizio. Il Sessantotto dell'arte 

Conferenza di Ester Coen e Riccardo Brizzi

Francesca Musiari

Nel primo giorno di primavera, all’inizio della nuova stagione - il 21 marzo - nel corso dei “Mercoledì di Santa Cristina”, si è svolta nell’Aula Magna del Dipartimento delle Arti una conferenza dal titolo: “È  solo un inizio. Il Sessantotto dell’arte”.

1968-2018: 50 anni ci separano ormai da un momento importantissimo per la storia della società. Un arco temporale in cui la cultura, i costumi e le arti hanno raccolto i frutti di quella rivoluzione, nata con forza tra i giovani di tutto il mondo. Molte delle questioni che essi sollevarono rimangono, tuttavia, ancora irrisolte. Pur se studiato, il ’68 è un periodo di cui non si conoscono davvero i confini e la portata. Gli ospiti della serata, Riccardo Brizzi e Ester Coen, presentati da Claudio Marra, hanno illustrato il contesto storico e messo in luce l’attualità delle riflessioni scaturite dalla “primavera del ’68”.

Riccardo Brizzi, professore di Storia Contemporanea presso l’Università di Bologna, ha delineato le principali cause, i tratti caratterizzanti e le conseguenze del movimento sviluppatosi in quegli anni, in primo luogo il fatto che questa rivoluzione non si possa definire una “total revolution”, sullo stesso piano di quelle francese o industriale. Questa valutazione di fondo induce a riconsiderare la portata innovatrice del ’68, senza però sottovalutare le scosse che riuscì ad infliggere contro l’ordine vigente. Parlando di questi anni si suole convenzionalmente comprendere un periodo più ampio, che trae la sua origine dagli inizi degli anni ’60. Il movimento, come spinta di rinnovamento sociale, politico e culturale, attesta un grande protagonismo dei giovani - dal Messico alla Francia, dagli Stati Uniti alla Cecoslovacchia, fino ad arrivare anche a molte città italiane.

Con slogan, manifestazioni pacifiche e atti violenti, i giovani lanciarono come sampietrini nuove questioni all’interno della società, schierandosi contro autoritarismi di ogni genere, vigenti come forme fossilizzate all’interno della politica, del nucleo famigliare, del mondo del lavoro, delle istituzioni universitarie, dei diritti civili e della Chiesa. Ogni Paese aveva i propri tabù da abbattere: se il “Maggio francese” combatté contro la fissità dell’insegnamento universitario, negli Stati Uniti si protestò, invece, contro la feroce guerra in Vietnam e si manifestò per una maggiore apertura dei diritti a vantaggio delle minoranze razziali e per una liberazione delle donne dai tabù sessuali.

Per che cosa scesero in piazza i giovani italiani? Innanzitutto si cercò un allontanamento della Chiesa dalle questioni politiche e sociali. Inoltre, contro un settore dell’istruzione considerato antiquato, si realizzarono le prime grandi proteste studentesche che da Roma si diffusero poi a Milano, a Bologna e in altre città, a cui presero parte giovani universitari e liceali. 

L’opinione pubblica italiana fu in questi anni molto scossa da delicati eventi di cronaca, in cui il Paese si trovò ad affrontare tabù sessuali e sociali, legati per esempio all’omosessualità, ai rapporti prematrimoniali, all’aborto. Riccardo Brizzi riporta alla memoria diversi fatti indicativi dello spirito del tempo: il processo ai giovani di Milano de La Zanzara, che avevano coinvolto alcune minorenni in un’inchiesta sulla condizione della donna nella società, il noto caso della giovane palermitana Franca Viola, la quale nel 1965 non volle cedere a un matrimonio riparatore e si rifiutò di sposare il proprio stupratore, o il caso Braibanti-Sanfratello. Racconta Riccardo Brizzi che Aldo Braibanti si schierò fin da giovanissimo contro il fascismo, venne arrestato varie volte durante la guerra per essere nelle file della Resistenza e, dopo la guerra, aderì al partito comunista. Filosofo, artista e drammaturgo, nel 1967 venne condannato e processato per plagio nei confronti di due giovani allievi. L’accusa fu mossa da Ippolito Sanfratello, il quale non accettò la relazione tra Braibanti e suo figlio, che fu rinchiuso in un manicomio e sottoposto ad elettroshock, mentre Braibanti venne condannato a nove anni di carcere con l’accusa di aver plagiato la sua mente. Tanti furono gli intellettuali che si schierarono dalla parte di Braibanti - da Moravia a Pasolini a Carmelo Bene - ma molti non presero le sue difese, tra cui in modo ufficiale lo stesso Partito Comunista.

Tanti fatti divisero l’opinione pubblica italiana e, di certo, i fenomeni che si svilupparono e le vittorie sociali che si ottennero grazie al movimento del ’68, stanno alla base di cambiamenti all’interno della nostra società che vengono oggi dati per scontati.

Ester Coen ha evidenziato come le stesse richiesta di libertà, di cambiamento e di rottura con il passato si fecero strada anche all’interno delle correnti artistiche italiane e internazionali.

Docente di Storia Contemporanea all’università dell’Aquila, Ester Coen ha concentrato le sue ricerche sull’arte italiana della prima metà del Novecento, in particolare su Futurismo e Metafisica. Dalla metà degli anni ‘80 è stata curatrice di importanti mostre: nel 1988 la retrospettiva di Boccioni al Metropolitan Museum di New York, nel 1996 la mostra sul Futurismo al Museo Picasso di Barcellona, nel 2003 la grande rassegna  sulla Metafisica presso le Scuderie del Quirinale di Roma, nel 2009 l’esposizione sul centenario dalla nascita del Futurismo e nel 20015 una personale su Matisse.

A Roma, presso la Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea, si è da poco conclusa la prima esposizione dedicata in Italia al movimento del ’68: È solo un inizio. 1968. Al grido del maggio francese Ce n’est qu’un début, la mostra, (3/10/2017–14/01/2018) curata dalla stessa Ester Coen, ha voluto aprire il cinquantesimo anniversario del ’68 offrendo un’occasione di riflessione riguardo ai processi di rottura che portarono a una società diversa, più libera e democratica, con la consapevolezza però che «È   solo un inizio» e tanta strada ancora c’è da compiere. 

Partendo dal contesto storico si sono volute approfondire le diverse ricerche artistiche di quegli anni, puntando soprattutto ad evidenziarne gli esiti diversificati: da Jannis Kounellis a Franco Angeli, da Mario a Marisa Merz, da Gilberto Zorio ad Alighiero Boetti, da Gino De Dominicis, a Luciano Fabro, a Mario Schifano, a Luigi Ontani, Michelangelo Pistoletto, Bruce Nauman e tanti altri.

Nella più ampia sala della mostra sono esposti due dipinti, uno di Franco Angeli “Mao con la bandiera rossa” e l’altro di Mario Schifano “Festa cinese”, i quali, facendo apertamente riferimento a fatti ed esponenti politici, portano in campo istanze ideologiche. Il colore rosso, utilizzato dai due artisti, richiama alla mente dei visitatori il contesto storico di contestazione politica, in cui collocare cronologicamente anche tutte le opere della mostra.

Proponendo inizialmente una prospettiva storica e ideologica di quegli anni, l’allestimento di Ester Coen porta successivamente i visitatori a confrontarsi con opere che esteticamente rompono con la tradizione e con la nozione stessa di prodotto artistico, nella cui logica interna si realizza una rivoluzione: non più per le tematiche o l’iconografia, ma in quanto a nuovi materiali utilizzati e possibilità estetiche esplorate. Le opere, infatti, si staccano dalle pareti, chiedono spazio oltre i piedistalli e irrompono fisicamente nella sala, creando con i visitatori un nuovo rapporto. 

Accomuna le differenti ricerche artistiche l’uso dei fili di ferro e delle lamiere appartenenti alla realtà industriale, oppure del carbone, della sabbia, di elementi naturali e organici, vivi e soggetti alle modifiche del tempo. Le opere traggono la loro forza dalla realtà e contemporaneamente sono destinate a mutare nel tempo, sottoposte allo stesso processo della natura, dell’uomo e della società.

Gli artisti si ribellano in tal modo contro un concetto di forma esistente di per sé, calata dall’alto, per creare liberamente e in maniera autonoma un proprio linguaggio, in modo più faticoso ma sicuramente più sincero e reale. L’arte ha, infatti, in sé il potenziale di far emergere nuove forme, di rendere la società meno cristallizzata; in quegli anni seppe creare nuovi dialoghi e dare spazio a nuove voci, quelle stesse che la società tentò troppo spesso di soffocare.

L’incontro ha suscitato grande apprezzamento tra il pubblico, composto da studenti e cittadini. Infatti, oltre ad introdurre – attraverso la viva voce di colei che ne ha curato il progetto espositivo – ad una mostra ricca di opere d’arte emblematiche per la contemporaneità, ha saputo stimolare riflessioni su un periodo storico che sta alle radici della odierna cultura civile e sociale.