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I fratelli Flandrin: una riscoperta poliedrica dell’Ottocento francese

Articolo redatto da Vanessa Gradozzi

30 marzo 2022

 

I fratelli Flandrin: una riscoperta poliedrica dell’Ottocento francese 

Vanessa Gradozzi

Hyppolite Flandrin, Giovane uomo nudo seduto in riva al mare, 1835-36, Parigi Musée du Louvre

Mercoledì 30 marzo, in occasione della rassegna “I mercoledì di santa Cristina”, si è svolto su invito di Andrea Bacchi l’incontro con Elena Marchetti, curatrice presso Palazzo Ducale di Venezia, dal titolo Tra Giotto e Ingres: i fratelli Flandrin verso nuove frontiere del classicismo. Anna Ottani Cavina, che ha seguito dal principio il percorso di ricerca di Elena Marchetti, ha introdotto il risultato degli studi condotti sull’opera dei fratelli Auguste, Paul e Hyppolite Flandrin.

Ai tre artisti è stata dedicata nel 2021 una mostra, co-curata dalla studiosa presso il Museo delle Belle Arti di Lione, volta all’indagine di alcuni aspetti finora trascurati della loro produzione e divenuta occasione per la presentazione al pubblico di opere inedite. Il ricco catalogo realizzato per l’occasione può essere considerato un buon punto di riferimento per visualizzare e approfondire l’attività poliedrica dei Flandrin.

Marchetti, per fare chiarezza sul lavoro corale dei tre fratelli, caratterizzato da una costante collaborazione e da una reciproca influenza, si è avvalsa di una suddivisione per generi pittorici: la pittura monumentale, la figura umana, il paesaggio.

L’opera forse più conosciuta di Hyppolite, il secondo per nascita e il primo per fama, si presta a qualche interessante riflessione sulla rappresentazione della figura umana. Il dipinto Giovane uomo nudo seduto in riva al mare rappresenta una figura anonima e ambigua, con il volto parzialmente nascosto al pubblico, in una posa rannicchiata e le gambe raccolte, calata in un paesaggio con cui non interagisce in alcun modo. Stilisticamente, nelle forme classiche, pulite e perfettamente bilanciate del corpo appare evidente l’influenza di Ingres, di cui i tre fratelli erano stati allievi, e da cui avevano ereditato l’attenzione prestata al disegno come mezzo imprescindibile per cogliere, attraverso la forza della linea, le forme nella loro essenzialità e purezza. Con quest’opera, tuttavia, Hyppolite mostra di saper andare oltre la semplice rappresentazione del nudo accademico. Da un lato, l’indefinitezza dell’identità dell’uomo e del contesto nel quale è inserito incrinano il perfetto equilibrio della composizione, suggerendo una certa inquietudine, quasi anticipatrice dei dipinti romantici di Friedrich. Dall’altro, le forme geometriche e armoniche del corpo permettono alla figura di inserirsi in una tradizione simbolica consolidata e di trasformarsi in un’icona universale che, com’è poi accaduto, ha avuto grandissima fortuna nell’immaginario di artisti di epoche successive, fino ai nostri giorni.

La posa del giovane raffigurato trova un precedente significativo in un’edizione della fine del XVIII secolo della Divina Commedia, illustrata dall’inglese John Flaxman: il personaggio di Belacqua, incontrato da Dante nel IV canto del Purgatorio, viene rappresentato seduto a terra, di profilo, nudo, con le gambe raccolte e la testa reclinata, nell’intento di esprimere l’esperienza di solitudine e isolamento data dalla reticenza a pentirsi delle proprie azioni.

In questo senso il giovane di Hyppolite Flandrin si rivela perfetto per incarnare le stesse valenze simboliche e dare immagine a una figura universale di pentimento e contrizione.

La forza iconica dell’immagine è testimoniata dalla citazione letterale della posa effettuata da molti artisti di epoche successive e contesti molto diversi da quello della pittura francese della metà dell’Ottocento. Wilhelm Von Gloeden, ad esempio, ha riproposto in fotografia un giovane uomo nella stessa posa per esprimere un atteggiamento meditativo su comportamenti considerati peccaminosi, mentre lo scultore tedesco Wilhelm Lehmbruck ha utilizzato la figura di un giovane in una analoga postura come simbolo degli sconvolgimenti emotivi provocati dalla violenza della Grande Guerra.

Dalle peculiarità espresse da Hyppolite Flandrin nel trattare la figura umana deriva la linea di condotta generale inerente la sua pratica artistica, che partendo da una grande capacità nell’assorbire le tradizioni del passato ne preleva gli aspetti ritenuti più ricchi di potenzialità in vista degli sviluppi artistici successivi e della possibilità di rielaborarli liberamente in nuove forme.

Tale modo di procedere si riscontra anche nell’altra grande opera di Hyppolite, il cantiere di Saint-Germain-des-Prés, a cui collaborò il fratello Paul.

Questo ciclo pittorico, commissionato nel 1842, segna una tappa importante per l’attività dei Flandrin, ma anche per la riscoperta in Francia della pittura monumentale religiosa di ascendenza gotica.

Dopo la rivoluzione francese, che aveva determinato un rifiuto nei confronti delle istituzioni religiose e dell’utilizzo degli spazi ad esse funzionali, e dopo la caduta di Napoleone,  si sentì l’esigenza di dare nuovo spazio alla religiosità e alle opere d’arte ad essa collegate. Ogni tipo di produzione artistica, anche e soprattutto religiosa del passato, venne nuovamente considerata meritevole di essere studiata e conservata, in quanto documento culturale nazionale. Grazie a questo cambiamento di mentalità si promosse lo studio delle architetture e degli affreschi gotici e si avviarono nuovi cantieri di pittura monumentale, come quello di Saint-Germain-des-Prés.

Qui i Flandrin si misurarono con la nuova “sfida della parete”, che richiese loro l’impiego di una tecnica, la pittura murale, non più praticata da tempo e un confronto con i temi religiosi, non più frequentati, da applicare su scala monumentale.

Il risultato è la rappresentazione di episodi tratti dal Nuovo e dall’Antico Testamento, posti gli uni davanti agli altri ai lati della navata, secondo le tradizionali corrispondenze tipologiche dei personaggi della tradizione religiosa cattolica. Al visitatore viene data così la chiave interpretativa della narrazione degli avvenimenti biblici, in modo chiaro e quasi pedagogico. Le fisionomie delle figure, i morbidi incarnati e la successione delle scene richiamano da vicino gli affreschi di Giotto nella basilica di Assisi, che i fratelli Flandrin avevano studiato e apprezzato moltissimo, come testimonia una serie di acquerelli e disegni realizzata durante i ripetuti soggiorni in Italia. I restauri recenti della chiesa di Saint-Germain-des-Prés hanno poi riportato alla luce anche la cromia viva degli sfondi blu intenso e oro, che rafforzano i riferimenti alla pittura giottesca, in particolare alla volta stellata di Assisi, e all’arte bizantina.

I riferimenti alle fonti del passato, a livello stilistico, tecnico e iconografico sono espliciti, ma i Flandrin dimostrano di saperne superare gli insegnamenti per ricavarne una sintesi personale.

La soluzione originale della tecnica su muro usata e ideata da Hyppolite lo dimostra, unendo due metodi di lavoro ampiamente sperimentati in passato in una combinazione del tutto nuova. La pittura a cera infatti, scelta a garanzia di una lunga conservazione nel tempo delle opere, venne associata a un intonaco granuloso, utile a stemperare l’eccessiva lucentezza e a conferire un effetto scultoreo e monumentale alle figure umane.

In questo modo l’intero cantiere di Saint-Germain-des-Prés non si propone come un’operazione di recupero nostalgico di forme artistiche arcaicizzanti, ma si afferma come un nuovo tipo di pittura monumentale ottocentesca del tutto originale.

Grandi assimilatori di tecniche del passato, i fratelli Flandrin sono stati capaci di raggiungere nuove frontiere di sperimentazione, che offriranno spunti e riferimenti a molte ricerche artistiche successive.

A partire dalla scuola di Ingres, alla quale si erano formati, hanno sviluppato un’attività poliedrica, cimentandosi con i più vari generi pittorici e adottando tecniche eterodosse. La mostra di Lione, grazie all’esposizione di disegni inediti, ha messo in luce l’importanza, ai fini delle loro sperimentazioni, dei tanti acquerelli di paesaggio, di cui Paul era specialista: rispetto all’approccio prevalentemente adottato all’epoca per lo stesso genere pittorico, in cui si ricercava il bilanciamento delle forme e si rappresentava la natura come portatrice di significati simbolici, questi disegni, con l’assenza di figure umane, la resa atmosferica sfumata e l’uso di toni di colore metallici, anticipano una sensibilità agli effetti percettivi della luce tipici della pittura impressionista.

Ancora una volta i Flandrin si confermano degli innovatori e sperimentatori delle tecniche più varie, poco ortodossi rispetto ai canoni tipici della pittura, artisti dallo sguardo attento alle tradizioni del passato, ma capaci di aprire la loro arte e sensibilità a molte nuove linee di ricerca che in pochi decenni si sarebbero affermate in Europa.