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"Il genio di Francesco Stringa": Lectio magistralis di Daniele Benati

Articolo redatto da Domiziana Pelati in occasione della lectio magistralis del professor Benati nel contesto del convegno internazionale "L'Occidente degli Eroi, il Pantheon degli Estensi in Sant'Agostino a Modena (1662-1663) e la cultura barocca".

25 ottobre 2018


"Il genio di Francesco Stringa"

Lectio magistralis di Daniele Benati

Domiziana Pelati

Giovedì 25 ottobre 2018 si è tenuta a Modena la prima giornata del Convegno internazionale di studi L'Occidente degli Eroi, il Pantheon degli Estensi in Sant'Agostino a Modena (1662-1663) e la cultura barocca, curato da Sonia Cavicchioli. Nella sala principale dell'Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti, Daniele Benati ha concluso il pomeriggio con una lectio magistralis su Francesco Stringa (1635-1709), pittore modenese attivo alla corte degli Estensi. Dopo la presentazione di Licia Biggi Miani (Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti) che ne ha sottolineato la lunga esperienza in ambito accademico oltre che istituzionale, Daniele Benati ha dato il via, per dirla con le sue parole, a una fitta carrellata di immagini, restituendo una visuale a volo d'uccello sulla produzione dell’artista.

A partire dal 1 novembre 1661, Francesco Stringa ricoprì il ruolo di pittore e aiutante di camera presso la corte di Alfonso IV e Laura Martinozzi. L’artista venne licenziato da quest'ultima nel luglio del 1663 a causa della precaria situazione finanziaria in cui versava il ducato dopo la morte prematura del duca; nondimeno, la sua collaborazione con la Camera Ducale proseguì ininterrottamente fino al reintegro nel 1674. Stringa ricoprì ruoli di alto prestigio che ancora oggi ne testimoniano la versatilità e l'intraprendenza, tant'è che lavorò come soprintendente delle Fabbriche Ducali e come custode della preziosa Galleria Estense. Francesco Stringa non fu l'unico pittore operoso per la corte modenese, tuttavia l'ampio arco cronologico in cui svolse la propria attività, la qualità della sua pittura e le numerose commissioni ricevute sono da considerarsi elementi assai significativi, tant'è che, riportando le parole di Daniele Benati, fu in grado di "improntare con le sue peculiari scelte la cultura figurativa del tempo". Le ragioni di tale successo sono da attribuire alla già citata capacità artistica, riconosciutagli dalla storiografia moderna dopo le aspre critiche riservategli in epoca neoclassica, in special modo da Tiraboschi. La sua pittura "robusta", "caldamente chiaroscurata" e "estrosa" veniva esaltata nel 1959 dalle parole di Francesco Arcangeli, che la definì come un ponte fra naturalismo e pittura ideale.

I più antichi esempi della produzione pittorica dell'artista giunti fino a noi sono ammirabili nel Pantheon Atestinum, inaugurato nel giugno del 1663. Prima di tale data sono altresì note due rilevanti imprese incisorie di Stringa, vale a dire le illustrazioni di corredo all'Ephemerides, testo astronomico di Cornelio Malvasia (1657) e alcuni disegni tenuti a modello dall'incisore Lorenzo Tinti per la realizzazione dell'antiporta dell'orazione funebre Idea di un prencipe et eroe christiano in Francesco I d'Este, del gesuita Domenico Gamberti (1659). È proprio entro il breve arco cronologico del ducato di Alfonso IV che, in uno studio del 2011, Steven Ostrow collocava la Natura morta allegorica con il busto berniniano di Francesco I, attribuendola ad un giovane Stringa. Sulla base del dato stilistico Daniele Benati ha rifiutato le argomentazioni di Ostrow, definendole "ipotesi destinate a rimanere indimostrate". Già nel 1998, infatti, ricondusse insieme a Lucia Peruzzi l'opera di Minneapolis alle mani di Francesco e del fratello Agostino, collocandola in una cronologia di circa trent'anni più tarda rispetto a quella avanzata da Ostrow. Il busto berniniano e gli elementi scultorei sarebbero stati dipinti da Francesco, mentre i vivaci brani di natura morta in primo piano sono da attribuire alla mano di Agostino Stringa, esperto fiorante. Pur concordando con Ostrow riguardo l'idea che la vanitas trovi la sua esaltazione pittorica e concettuale nella contrapposizione tra il busto marmoreo di Francesco I e i "segni transeunti del suo potere", Daniele Benati ritiene improbabile che l'upupa morta in primo piano faccia riferimento alla morte di Almerico, fratello di Alfonso IV, caduto in battaglia nel 1660.

Fortemente influenzata dai "portati della schietta tradizione emiliana", la pittura di Stringa presenta un solido impianto naturalistico, stemperato da avvolgenti effetti luministici. Nel 1661 il pittore stesso si proclamò allievo di Ludovico Lana, tuttavia trattasi di un fatto improbabile, posto che al momento della morte del più anziano maestro il pittore aveva solo undici anni. Tale “asserzione di discipulato” viene, dunque, interpretata dallo studioso come l'espressione di un sentimento di appartenenza ad una precisa "cultura civica”. Il cosiddetto "conservatorismo eclettico" di Stringa affonda le proprie radici nella tradizione locale, vale a dire nell’esempio del Guercino e di Mattia Preti, entrambi attivi a Modena, ma prende le distanze dall'aulico linguaggio di Guido Reni. A questo proposito, le inclinazioni stilistiche e compositive di Stringa sono ammirabili nel frontale con quattro santi conservato in Sant'Agostino; di fatto, nell'eleganza del corpo dell'angelo in alto a destra pare emergere l'influenza dei Carracci. Come rilevabile dalla Morte di Giuseppe, eseguita nel 1670 per la Chiesa del Voto, l'approccio dell’artista non può definirsi meramente citazionistico, in quanto capace di esprimere con sentita partecipazione l'ammirazione per i propri modelli, conferendo verità, sentimento e nuova "morsa" alle figure. Le numerose commissioni a carattere sacro gli permisero di evolvere gradualmente verso un nuovo linguaggio pittorico, caratterizzato da una tessitura cromatica di stampo guerciniano, oltre che da una resa più aggraziata e alleggerita delle figure, com'è possibile notare nello scroscio color malva del mantello nella Decollazione di Santa Caterina, originariamente eseguita per il Collegio dei Nobili di Parma.

È soprattutto con i dipinti realizzati per committenze private che Stringa apre l'orizzonte verso il gusto rocaille del secolo successivo. Riscoperti di recente, il San Giovanni Battista, così come il San Girolamo vengono citati da Daniele Benati al fine di sottolineare la particolare relazione che intercorreva tra commissioni pubbliche e private. L'usanza di Stringa di estrapolare talune figure dalle pale d'altare per ricollocarle in opere destinate a collezioni private è infatti ben esemplificata nel caso del San Girolamo, dove riappare il tipo del San Giuseppe raffigurato in un quadro carpigiano.

Continuando con la carrellata di immagini, Daniele Benati ha infine aperto con Sansone e Dalila - conservato in collezione privata - il discorso sui soggetti profani che il pittore affronta variandone la composizione, ma restando pur sempre fedele a un robusto naturalismo. Esemplificativo dell'indagine dell’artista modenese sui soggetti femminili è un quadro conservato a Modena conosciuto come Sibilla o Ragazza con turbante, raffigurante una "testa di carattere", in cui il volto femminile fortemente chiaroscurato, illuminato da una luce mitigata dagli insistenti toni bruciati e impreziosito da rapidi baluginii, rimanda nuovamente alla più alta cultura figurativa emiliana del Seicento.

Daniele Benati ha, infine, ribadito la straordinaria versatilità della pittura di Stringa, artista a cui, già nel 1744, Pietro Ercole Gherardi attribuiva un “talento universale”. Le numerose commissioni pubbliche e private ricevute dall’artista ne testimoniano, infatti, la capacità di rielaborare, esaltare e fare propri i modelli più alti della tradizione pittorica emiliana, in una Modena che già andava chiudendosi su se stessa.

L’interesse per la lectio suscitato nel numeroso pubblico presente in sala ha dato avvio ad un vivace dibattito che ha reso evidente quale stimolante occasione di studio e approfondimento abbia offerto il Convegno promosso da Sonia Cavicchioli.