Vai alla Homepage del Portale di Ateneo Laurea Magistrale in Arti visive

Il giovane Tintoretto

Articolo redatto da Claudio Rossello per la rubrica CollegARTI in occasione dell'incontro con Vittoria Romani nel contesto de "I mercoledì di Santa Cristina"

20 febbraio 2019

Il giovane Tintoretto

Claudio Rossello

Nel 2018 è stato commemorato il cinquecentesimo anniversario della nascita di Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, e la città di Venezia ha deciso di celebrare uno dei suoi più illustri cittadini con diverse iniziative: la mostra “Il giovane Tintoretto”, tenutasi negli spazi delle Gallerie dell’Accademia dal 7 settembre 2018 al 6 gennaio 2019 e curata da Roberta Battaglia, Paola Marini e Vittoria Romani, è stata tra le più significative.

Daniele Benati, a mostra conclusa, ha invitato Vittoria Romani a parlare del suo lavoro all’interno del ciclo “I mercoledì di Santa Cristina”. In verità l’occasione dell’anniversario, come essa stessa rivelato, è stata per lei solo una coincidenza e un’opportunità in più per sviluppare gli studi che conduce da anni sul Tintoretto.

 

In particolare la mostra ha inquadrato gli anni Quaranta del Cinquecento a Venezia, che coincisero con l’esordio del pittore e furono caratterizzati da un forte sperimentalismo, tanto da produrre opere molto diverse tra loro; trattandosi di un argomento complesso non sono stati tanti gli storici dell’arte che sono riusciti a districarsi abilmente nella questione. Oltre agli scritti di Giuliano Briganti e Roberto Longhi, rispettivamente Riflessioni sul manierismo e Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, entrambi del 1945, punto di partenza per Vittoria Romani è stato il volume del 1950 di Rodolfo Pallucchini, La giovinezza di Tintoretto, nel quale finalmente la figura del giovane pittore iniziò a prendere forma e diventò possibile conoscerlo davvero come quel “terribile cervello” (Vasari) che instancabilmente avrebbe studiato i più diversi fatti artistici che lo circondavano. In questi saggi inizia ad emergere la situazione artistica di Venezia negli anni Trenta e Quaranta del Cinquecento, non più vista come una “muraglia cinese rispetto a ciò che avveniva nel resto d’Italia” (Barbantini, 1939), bensì una città più aperta ai fatti romani e fiorentini, in sostanza più “manierista” di ciò che si credeva.

 

In quegli anni furono molti gli artisti toscani e romani che transitarono a Venezia e che il giovane pittore dovette per certo ammirare. Tra i più importanti Vittoria Romani ricorda: Jacopo Sansovino, il cui rilievo col Miracolo dello schiavo per la Basilica di San Marco fu certamente studiato dal Tintoretto per elaborare il suo omonimo capolavoro; Francesco Salviati, che negli anni veneziani dipinse la Sacra Conversazione spedita alla chiesa di Santa Cristina della Fondazza - adiacente al Dipartimento delle Arti - ed ancora in loco, che già Pallucchini indicava come modello ispiratore per la Madonna Molin di Tintoretto in collezione privata; Giorgio Vasari, invitato a Venezia dal conterraneo Pietro Aretino per occuparsi dell’apparato scenografico delle sue opere teatrali e le cui tavole, che ornavano il soffitto di Palazzo Correr - oggi alle Gallerie dell’Accademia - furono lo spunto per la decorazione del soffitto della casa dello stesso Aretino, nonchè tra le prime importanti opere che Tintoretto eseguì. Proprio all’amicizia con l’Aretino Vittoria Romani ha dato particolare attenzione, perché la casa di quest’ultimo fu un vero e proprio luogo di incontro e scambio di idee per artisti e letterati; per il pittore veneziano entrare nelle grazie di un personaggio di spicco della vita culturale della città fu una buona opportunità per ricevere importanti commissioni.

 

Oltre agli influssi esterni, Tintoretto fu attentissimo anche agli artisti locali, a partire dal suo maestro di bottega, Bonifacio Veronese, specializzato nel genere della Sacra Conversazione, di cui il giovane allievo rivoluzionò il modo di dipingere, così come possiamo accorgerci confrontando la Sacra Conversazione tra i santi Omobono, Giovannino e Barbara nelle Gallerie dell’Accademia del Veronese con la Sacra Conversazione Molin in collezione privata del Robusti. Rispetto all’opera del Veronese, composta, elegante ed imbevuta dell’atmosfera crepuscolare tradizionale della pittura veneziana, Tintoretto trasformò il paesaggio, come ci dice Vittoria Romani, in un “cenno”, costruendo con i personaggi “un muro che si staglia tra l’osservatore e ciò che rimane dello sfondo”.  Lo studio fondamentale appare qui quello di Michelangelo, del cui complesso scultoreo della Sagrestia Vecchia di Firenze il veneziano possedeva i modelletti: la Vergine nel quadro Molin è tanto vicina alla Vergine michelangiolesca da apparire quasi un omaggio.

 

La conoscenza di Michelangelo, che poteva dipendere anche dalla presenza del Pordenone a Venezia dopo il soggiorno romano, non si limitò ad una pedissequa citazione per Tintoretto, che ne comprese da subito la grande rivoluzione artistica. Al ciclo dei sedici riquadri per Palazzo Pisani, conservato oggi alle Gallerie Estensi di Modena, Vittoria Romani accosta il disegno di Michelangelo che rappresenta La caduta di Fetonte (Londra, British Museum), usato in maniera evidente dal Tintoretto per elaborare il riquadro con soggetto analogo. Alla stessa maniera viene accostata la Pala di San Marziale del Robusti al Giudizio di Michelangelo. A questo proposito si è affrontato un altro grande tema dibattuto dalla critica: la presenza o meno di Tintoretto a metà degli anni Quaranta a Roma e quindi la discussione sull’eventualità che il pittore abbia conosciuto in maniera diretta il lavoro di Michelangelo.

L’accostamento famoso tra il Miracolo dello schiavo e La conversione di Saulo di Michelangelo dei Palazzi Vaticani farebbe propendere verso l’idea di una conoscenza diretta e quindi di un viaggio romano, che Vittoria Romani ha preferito lasciare come quesito sospeso sul quale ragionare. A questo proposito ha ricordato l’importanza capitale  di Tiziano, protagonista assoluto della scena veneziana almeno nella prima parte del secolo, il quale nel 1546 era di ritorno a Venezia dopo un soggiorno romano e attraverso la geniale creazione di alcune opere, tra cui il San Giovanni Evangelista a Patmos (National Gallery of Art di Washington), la sua opera più “michelangiolesca”, dimostrò che le novità dei fatti artistici romani non lo avevano lasciato indifferente, affascinando certamente anche il Tintoretto.

 

D’altra parte, per comprendere l’interpretazione manierista di Tintoretto, Vittoria Romani ha mostrato la Conversione di san Paolo del 1544 ca. (National Gallery di Washington) e la Disputa di Gesù nel tempio (Museo dell’Opera del Duomo di Milano), databile al 1545-46. Nella prima l’accostamento alla perduta Battaglia di Cadore di Tiziano è immediato. Nella seconda gli aspetti tosco-romani si uniscono a invenzioni geniali quali il “digradarsi vertiginoso” (Romani) delle teste dei dottori. L’opera, dopo essere caduta nell’oblio nel XVIII secolo, fu “riscoperta” da Francesco Arcangeli che nel 1954 pubblicò un articolo su “Paragone” che rappresenta l’unica importante acquisizione critica dopo gli studi di Pallucchini.

 

La conferenza ha suscitato grande interesse, avendo consentito l’approfondimento di alcuni aspetti meno indagati di un pittore che durante gli anni giovanili è stato capace di reinventarsi continuamente, prendendo spunto dai più grandi artisti del momento e mostrando sperimentazioni sempre originali.

Nel confronto tra la Conversazione Molin (1540) e il Miracolo dello schiavo (1548), portati ad esempio da Vittoria Romani, l’apparente distanza stilistica sembra impressionante, come se ci fosse qualcosa che fa “precipitare” l’artista e i suoi quadri in un mondo che è sempre nuovo ad ogni prova pittorica. Nonostante le opere della giovinezza possano apparire a prima vista disomogenee, mettendo spesso in difficoltà gli storici dell’arte nel riconoscere la mano del pittore, in realtà, a ben vedere, tale dubbio potrebbe essere fugato dando atto della grande capacità inventiva che caratterizzava Tintoretto negli anni Quaranta.