Vai alla Homepage del Portale di Ateneo Laurea Magistrale in Arti visive

Il realismo magico. La costruzione di una mostra

Articolo redatto da Camilla Pennoni

23 Febbraio 2022 

Il realismo magico. La costruzione di una mostra

Camilla Pennoni

In occasione del quarto incontro relativo alla rassegna “I Mercoledì di Santa Cristina”, coordinato da Claudio Marra, il Dipartimento delle Arti di Bologna ha avuto il piacere di ospitare Valerio Terraroli, docente di Museologia e Critica Artistica e del Restauro presso il Dipartimento di Culture e Civiltà dell’Università degli Studi di Verona. La sua carriera professionale, divisa tra la redazione di testi scientifici, l’insegnamento e l’attività curatoriale, è incentrata nel campo di ricerca che va dal Settecento alle Neoavanguardie del Novecento. Tra i suoi più recenti progetti si inserisce la mostra “Realismo Magico”, che ha curato insieme a Gabriella Belli nel Palazzo Reale di Milano, dove è stata inaugurata il 19 Ottobre per poi concludersi il 27 Febbraio 2022. L’intento è stato quello di proseguire l’iniziativa intrapresa nel 2017 con la mostra dedicata al Realismo Magico tenutasi al Mart di Rovereto, sollecitando un approccio critico capace di dare evidenza al fatto che questa corrente artistica non è stata solo l’espressione di una sensibilità condivisa da un gruppo di pittori, ma un vero e proprio movimento organizzato. Come ha precisato Valerio Terraroli, tra le ragioni all’origine della mostra si poneva proprio l’interesse ad indagare questo aspetto, per rendere merito ad una tendenza artistica interpretata sovente come una serie di “situazioni” e più raramente analizzata nel dettaglio, al di là delle ricerche improntate sull’Art Déco o sulla figura di Margherita Sarfatti.

In un contesto storico che ha visto protagonisti il secondo Futurismo insieme alla Nuova Oggettività tedesca e al Novecento Italiano, il Realismo Magico è emerso come una sorta di resistenza passiva al movimento fascista, esprimendo contenuti in contrasto con gli ideali dell’epoca che inevitabilmente lo hanno condotto ad una sorta di damnatio memoriae. L’arte della tradizione rappresentò un’ancora di salvezza per questi artisti che, dopo aver vissuto nel pieno delle avanguardie storiche, avvertivano la necessità di “rinvigorirsi alla fonte primaria”. La piena esemplificazione di questo cambiamento si evince dal dipinto che apre la mostra, “Le figlie di Loth” di Carlo Carrà, vicino alle modalità espressive di Giotto, pur se filtrate dalle influenze del Cubismo di Picasso e della Metafisica di De Chirico. Nella stessa sala si trovano “Gli Amanti” di Arturo Martini, un bassorilievo in gesso che riprende le fattezze di una scultura etrusca “trasferita” nello stiacciato di Donatello e “portata in superficie” come in Picasso. Con l’intento di ritrovare le ragioni della propria pittura, questi artisti conferirono alle loro opere un sapore arcaicizzante quattrocentesco, con la specifica declinazione di una temperie figurativa neoclassica, unita ad ambigue atmosfere metafisico-realistiche, oltre che a tendenze Dèco nella sua specificità italiana. Quest’ultimo linguaggio, che ha caratterizzato la produzione artistica del Paese ed europea negli anni Venti per poi ottenere esiti soprattutto americani dopo il 1929, è stato oggetto di un’importante mostra intitolata “Art Dèco. Gli anni ruggenti in Italia”, organizzata nel 2017 ai Musei San Domenico di Forlì da Valerio Terraroli. L’arcaismo quattrocentesco e il piacere decorativo tipico del Dèco si sono fusi insieme sfociando in una verosimiglianza tanto labile quanto inquietante. L’acme del Realismo Magico si è concentrato tra il 1920 e il 1935, durante ben quindici anni che hanno dato vita a molti capolavori, la maggior parte dei quali esposti in mostra. Il catalogo comprende ottanta opere di artisti come Mario Sironi con il suo celebre dipinto “L’Allieva”, Ubaldo Oppi con “Ritratto della moglie sullo sfondo di Venezia” e Achille Funi con “Maternità”, tutti egualmente pervasi da un continuo passaggio di linguaggi, ma soprattutto da un “iperrealismo che non è più realismo”. Nel percorso, costruito su confronti, similitudini e affinità tra artisti, si inserisce anche la figura di Felice Casorati con il “Ritratto di Silvana Cenni” del 1922, presentata come una “sovrana” bambina seduta su un grande trono; lo squilibrio di proporzioni tra la persona e la seduta diviene chiara emanazione di incertezza, sottolineata anche dal disallineamento della figura rispetto all’asse centrale della scena, come a voler raccontare uno “scatto in avanti” rispetto alla sintassi tipica della pittura rinascimentale.

Valerio Terraroli ha illustrato le scelte curatoriali della mostra, finalizzate a considerare il pubblico come un protagonista indiscusso. In tal caso, a fronte di un visitatore che può o meno avvalersi di competenze specialistiche, il curatore deve riuscire a cogliere le più disparate sensibilità e le diverse esigenze alle quali adeguare gli interventi di carattere museologico e museografico. L’esposizione è stata assecondata da un percorso di tipo cronologico-filologico-comparativo: per poter garantire una facilità di comprensione anche ai meno avezzi, oltre che un riscontro a livello logico ed emotivo, i capolavori italiani sono stati  disposti - dai più antichi ai più recenti - seguendo un percorso carico di rimandi, comparazioni e nuove proposte filologiche, capaci non solo di spronare al ragionamento i più esperti, ma anche di attivare circuiti emotivi in chi ha meno conoscenza. Solo a titolo di esempio si potrebbe citare la relazione che viene posta  con le opere della  Nuova Oggettività tedesca e del Novecento Italiano di Margherita Sarfatti, dalle quali il Realismo Magico si distingue ma con cui condivide anche alcuni artisti come Achille Funi, Mario Sironi e Ubaldo Oppi. La mostra è articolata in una prima sala esplicativa della resa pittorica “algida, tersa, spesso indagata nei più minuti dettagli, talmente realistica da rivelarsi inevitabilmente inquietante e straniante”, per poi proseguire con la trattazione dei singoli temi: il paesaggio, l’infanzia, le nature morte, la maschera, l’immagine femminile, il lavoro e l’eros. Cagnaccio di San Pietro offre la più chiara interpretazione sia del tema femminile con “Donna allo specchio”, dal cui volto trapela il dolore di vivere, che dell’ eros, reso evidente nel dipinto “Dopo l’orgia”, realizzato sulla scia della celebre opera “Meriggio” di Felice Casorati. Cagnaccio, con quest’ultimo dipinto, presenta dei nudi femminili abbandonati in uno spazio sospeso, come se la scena fosse avvolta – a detta di Valerio Terraroli – in un sonno senza sogni. L’artista in quest’opera esprime un atteggiamento di rifiuto nei confronti della particolare condizione storico-politica nata con il regime fascista, del quale l‘ambientazione del dipinto mette in evidenza i costumi corrotti, utilizzando espedienti quale il particolare dei gemelli con il simbolo della cimice fascista, che in un secondo momento Cagnaccio fu costretto a cancellare. Tuttavia la sua perseveranza nelle rappresaglie contro il regime non lo preservarono dall’essere escluso da una serie di incarichi che lo condusse poco alla volta al ricovero presso il manicomio veneziano di San Servolo.

La realizzazione pratica di una mostra prende il via a partire dalle opere che si hanno a disposizione: in questo caso solo per il 10% di proprietà pubblica, per cui il recupero dei capolavori conservati nelle case dei collezionisti privati ha imposto un’attività di convincimento al prestito incentrata sul valore etico della fruizione offerta a un pubblico più vasto. Sulla base dei dipinti ottenuti si costruisce l’allestimento, che in questo caso è stato organizzato con l’intento di offrire al meglio la visibilità delle opere, donando respiro al percorso espositivo ed evitando la “bulimia” della vista. A questo fine lo spazio è stato organizzato attraverso il posizionamento di quinte poste di scorcio che, oltre a garantire effetti prospettici utili alla visione di più quadri da uno stesso punto di vista, hanno consentito ulteriori confronti tra gli stessi. La valorizzazione dei singoli dipinti è stata favorita dal colore neutro delle pareti, capace di catturare la luce senza rifletterla, e dagli interventi dell’illuminotecnico che, con dei giochi di luce e di penombra, ha voluto ricreare un’atmosfera intima senza intaccare la facilità di lettura dell’apparato didascalico. La comunicazione, comprensiva di guide e di catalogo, oltre che di didascalie e pannelli di sala, ha puntato su uno stile chiaro e conciso, in particolar modo per le didascalie, affisse alle aste di ferro dei distanziatori.

Tra allegorie, ambiguità, atmosfere sospese ed immobili, citazioni della tradizione e del mondo contemporaneo, il Realismo Magico narra di come, dietro ad una realtà che l’uomo è convinto di conoscere, si celino complessità insondabili, che vengono a galla  tra i rimpianti per il passato e la malinconia per il presente. Da queste opere trapela la forte volontà degli artisti di rifugiarsi nella classicità delle forme per testimoniare il rifiuto nei confronti di una realtà che appare soffocante e dalla quale ci si allontana per tentare di crearne un’altra magicamente sospesa ed eterna. Secondo il parere del curatore la parola che più di tutte è in grado di identificare il Realismo Magico è “silenzio”, sottolineando il carattere di stasi, immobilità, assenza del tempo che trapela dalle scene dei quadri esposti. Osservandoli, lo spettatore si sente come inglobato in uno spazio privo di atmosfera, dove niente è dato al caso o appare scomposto, dove non c’è alcun tipo di imperfezione o di rumore: si tratta dello spazio dell’irrealtà.

Una mostra può essere considerata l’evento effimero per eccellenza anche se, come in questo caso, spesso ne sopravvive la memoria storica attraverso il catalogo, le fotografie ed i video, ovvero tutti gli strumenti in grado di testimoniare quali risultati sia possibile ottenere grazie agli studi eseguiti e alle connessioni attivate all’interno del percorso espositivo. Tale progetto, come ama ricordare Valerio Terraroli, è il risultato di un lavoro ricco di dedizione e competenza, dove “l’arma” più efficace è senza dubbio la passione.