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John Ruskin. Le pietre di Venezia

Articolo redatto da Luca Chilò per la rubrica collegArti in occasione della presentazione della mostra e del catalogo a cura di Anna Ottani Cavina.

19 aprile 2018


John Ruskin. Le pietre di Venezia

Luca Chilò

La Fondazione Federico Zeri ha accolto, in data 19 aprile, la presentazione della mostra e del catalogo (edito da Marsilio, Venezia, 2018) “John Ruskin. Le pietre di Venezia”, entrambi curati da Anna Ottani Cavina, che ha presentato la giornata insieme a Francesca Tancini della Fondazione Zeri.

A introdurre il tema della conferenza Andrea Bacchi, direttore della Fondazione, che dopo i ringraziamenti di rito alle invitate e al pubblico, ha fornito una breve lettura della personalità di Ruskin (1818-1900) e del contesto storico in cui è vissuto, sottolineando la complessità di mettere in scena una mostra sulla produzione grafica di un personaggio che nella vita fu prevalentemente un teorico. In laguna, infatti, come spiega la Ottani Cavina, per la prima volta in Italia, si è dato spazio al Ruskin artista, attività che non esercitò mai professionalmente, ma per cui aveva una propensione naturale. La mostra, il cui titolo non poteva che trarre ispirazione da una delle sue più importanti imprese editoriali, “The Stone of Venice” (1851-1853), summa della produzione letteraria e grafica sulla città, racconta con una grande quantità di testimonianze l’esperienza veneziana dell’intellettuale inglese. Essa, come continua Anna Ottani Cavina, non poteva pagare in modo migliore il debito con l’esperienza romantica vittoriana; proprio per questo legame, inoltre, l’iniziativa è stata fortemente voluta sia da Venezia sia dalla Fondazione Musei Civici della città.

Nelle sale dell’Appartamento del Doge di Palazzo Ducale - una delle testimonianze più grandiose del gotico veneziano - si possono trovare oltre ai manoscritti dei testi cardine della sua produzione - eccezionalmente in prestito dalla The Morgan Library - acquarelli, tempere, disegni, incisioni e fotografie; il tutto allestito, come sottolineato da Anna Ottani Cavina e Francesca Tancini, ovviando alla  dimensione estremamente ridotta del materiale, che poneva notevoli problemi museografici relativi alla fruizione, risolti grazie al consapevole lavoro di Pier Luigi Pizzi. Lungo il percorso espositivo le pareti delle sale, attraverso un gioco di pannelli, sono state completamente nascoste, lasciano in evidenza solo le opere e, così facendo, favorendo la visione ravvicinata e la scenograficità dell’esposizione.

John Ruskin nacque da una famiglia agiata della Londra dell’Ottocento e già a diciassette anni impugnò carta e penna in difesa di quello che fu uno dei suoi più grandi ispiratori, William Turner. Dopo essersi laureato a Oxford nel 1842, iniziò la stesura del primo dei cinque volumi di Modern Painters (1843-1860), scritto a sostegno dei pittori a lui contemporanei e che gli diede, nel bene e nel male, immediata risonanza. Mosso dal fascino della Venezia decadente dei racconti byroniani e delle opere di Turner, prima, da una volontà conservativa, poi, portò a termine durante la sua vita undici estenuanti viaggi dall’Inghilterra alla Serenissima per documentaree salvaguardare lo “sgretolarsi” della città italiana. Il suo enorme impegno, oltre ad alimentare il mito di Venezia - in quel periodo al culmine della sua decadenza - ci lascia in eredità una delle più complete  documentazioni nel periodo che va dal 1835 al 1888.

 

Tra i suoi interessi si annoverano le problematiche sociali di stampo puramente utopico. Al fallimento del matrimonio, durato sette anni, con Euphemia Chalmers Gray, sposata per interesse, cominciò a girare l’Inghilterra per promuovere le sue idee rivoluzionarie, finendo per investire, oltre al tempo, ingenti somme di denaro nella Guild of St George e nelle case operaie nel distretto industriale di Sheffiel, all’insegna del revival dei valori medievalistici. La Guild infatti era una comunità di lavoratori che agiva in un ambiente “collettivo” e con il fine di perpetrare le antiche procedure dell'artigianato preindustriale. Di questo periodo furono i vari saggi contro la povertà che confluiranno in Unto this Last (1862), testo apprezzato dallo stesso Gandhi. Nel 1888, a causa di una malattia mentale, si ritirò dall’insegnamento all'università di Oxford (in cui dal 1869 era diventato slade professor) e andò a vivere nel cottage di Brantwood, nel cuore del Lake District in Cumbria. Gli ultimi undici anni della sua vita furono caratterizzati da una costante degenerazione della malattia di cui soffriva, fino alla morte avvenuta nel gennaio del 1900 nella sua stanza da letto con i suoi adorati ventiquattro Turner, come si vede bene in “La stanza da letto di John Ruskin a Brantwood” (1900), in esposizione nell’Appartamento del Doge.  Per citare le sue parole: “Quando morirò, spero che [i miei Turner] siano l’ultima cosa che i miei occhi vedranno in questo mondo”.

Anna Ottani Cavina in questa esposizione, oltre che sulla mirabolante vita di Ruskin, si è soffermata sull’opera che dà il titolo alla mostra e sui suoi contenuti. In essa traspare un interesse per Venezia che, oltre ad essere ispirato dai suoi “eroi” giovanili Byron e Turner, rientrava a pieno in quella rivalutazione del Medioevo, non soltanto stilistica, ma anche, e soprattutto, morale, tipica del romanticismo. L’Arte bizantina e il Gotico lagunare - indicati in maiuscolo nell’opera dell’autore - nella visione dell’intellettuale vittoriano portavano con sé un legame etico con la cultura in cui erano stati concepiti. Tutto il testo sostiene questa idea, la cui formulazione proviene dal più anziano William Morris (1834 – 1896) di stampo utopico-socialista della supremazia dell’arte e dello stile di vita Middle Age, contro quella rinascimentale. Si aggiunga la forte critica alla penuria in cui versavano le città soggette ai recenti industrializzazione e inquinamento; specificatamente nel capitolo Sulla natura del Gotico – sottolinea Francesca Tancini – si può ritrovare una delle più accese invettive dell’autore contro la condizione degli operai ridotti a mero attrezzo al servizio della fabbrica.

Il coinvolgimento per quel mondo che si scioglieva come “una zolletta di zucchero nel tè bollente”, così egli descrisse la città, lo portò a ritrarre le testimonianze architettoniche e artistiche della Serenissima, con una volontà quasi classificatoria, avvalendosi di acquerelli e tempere - tecniche che si prestano bene per la realizzazione rapida - incisioni e alcune fotografie dagherrotipe, anche se non le trovava idonee al suo canone rappresentativo perché troppo simili alla realtà. Come fa notare Anna Ottani Cavina, seguendo Carlo Ginsburg, la sua produzione non sfocia mai in un Ottocento dal carattere narrativo-pittorico, ma si rifà piuttosto al Seicento olandese, riferimento di prima formazione, per ragioni geografiche, di tanti pittori inglesi.

Per la mostra sono stati presi in considerazione anche i suoi carteggi che, come ha suggerito Anna Ottani Cavina, rivelano alcuni momenti più segreti: la disperazione dell’intellettuale  impossibilitato a raffigurare Palazzo Foscari a causa degli operai al lavoro che lo distruggevano  inconsapevolidel “monumento”, tanto da inviare una lettera al padre intrisa di sconforto. O ancora, le idee sul restauro strettamente legate a quelle sulla conservazione - espresse ampiamente nei suoi scritti - che doveva essere conservativo o, al massimo, aderente alla morfologia originale per non distorcere la testimonianza storica. Con il sopraggiungere della malattia la sua eredità, o meglio la sua sfida lagunare, venne portata avanti dai suoi discepoli. A Palazzo Ducale possiamo trovare in mostra una scatoletta con frammenti della coda di pavone in mosaico del pavimento di San Marco raccolti da John Bunney, suo allievo devoto. Proprio a questo proposito, nel percorso espositivo sono state anche inglobate le sale del Museo dell’Opera con i capitelli gotici salvati nel famoso restauro del 1875.

A Venezia Ruskin, però, non copiò solo le architetture, ma anche le opere degli antichi maestri che stimava, e che erano abbandonate nei palazzi o nelle chiese. Esempi in mostra sono gli studi su Carpaccio e Tintoretto.

Proseguendo con i temi trattati nell’esposizione, Anna Ottani Cavina ha proposto una riflessione su quelli legati alla natura, alcuni dei quali estrapolati direttamente dagli ultimi capitoli di The Modern Painters - La bellezza delle montagne, La bellezza delle foglie, La bellezza delle nuvole e altri presi da trattazioni minori di Ruskin. Questo a sottolineare la commistione tra il carattere positivistico del suo pensiero e lo spiritualismo-romantico tipicamente post Rivoluzione Francese.Negli studi delle Alpi o in quelli sul cielo, “Sky”, si rifletteva pienamente quel nuovo gusto europeo per una bellezza inspirata dagli spazi immisurabili, dove si ritrovava l’impronta divina nella natura, vissuta nella piena intensità emotiva, secondo l’estetica detta del “sublime”. Un’impronta che si può anche captare negli studi sui vegetali a cui dava titoli collegati a elementi quasi mistici, come avrebbero fatto in seguito gli impressionisti. In l’indocilità della driade, ramo di quercia in inverno (1858-1860), ad esempio, un semplice rametto diventa simbolo dello spirito protettore dei boschi.

Ma tra le altre peculiarità di Ruskin c’è ancora da ricordare l’abilità nella ritrattistica. Nell'esposizione venziana sono presenti alcuni suoi ritratti e autoritratti di strabiliante qualità. Tra i molti raffiguranti gli amici spicca quello ad acquerello e pastelli, di un raffinatissimo gusto ottocentesco, di Lily Amstrong Kelly-Davies (1875 circa), la ragazza a cui ha dedicato un manoscritto sui minerali. Sempre della Morgan Library è il suo “Autoritratto con cravatta blu” (1873-74), forse la maggiore opera di ritrattistica dell'autore.

Ruskin è una di quelle poliedriche figure che grazie al loro impegno morale hanno testimoniato una forte volontà di salvaguardia del patrimonio culturale, e che ancora oggi ne alimentano la discussione. Non poteva esserci, quindi, luogo migliore per presentare questa mostra di un’istituzione accademica che, con le sue conferenze, attira oltre agli studenti anche un vasto pubblico cittadino. Sicuramente questa giornata ha contribuito al rafforzarsi della consapevolezza del patrimonio italiano, dando vita a nuovi spunti di riflessione. Non si può che ringraziare la Fondazione Federico Zeri per queste opportunità, sperando che si rinnovino nel tempo.