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L'Angelico a Roma: un capitolo cruciale della pittura del Quattrocento

Articolo redatto da Maria Vittoria Longo per la rubrica collegArti in occasione dell'incontro con Gerardo De Simone nel contesto de "I mercoledì di Santa Cristina".

4 aprile 2018


L'Angelico a Roma: un capitolo cruciale della pittura del Quattrocento

Maria Vittoria Longo

L’incontro del 4 aprile 2018 del ciclo sull’arte “I mercoledì di Santa Cristina” è stato incentrato su una delle figure più emblematiche dell’arte italiana del Quattrocento: Beato Angelico. In particolar modo l’accento è stato posto sul suo operato a Roma tra il 1445 e il 1455.

La conferenza, dal titolo “L’Angelico a Roma. Un capitolo cruciale della pittura del Quattrocento” che, come di consuetudine, si è svolta nell’Aula Magna dell’ex convento di Santa Cristina - oggi sede del Dipartimento delle Arti - è stata tenuta da Gerardo De Simone e coordinata da Daniele Benati.

Gerardo de Simone ha conseguito laurea, specializzazione e dottorato di ricerca presso l’Università di Pisa. Borsista al Kunsthistorisches Institut di Firenze (2008) e a Villa I Tatti - The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies (2010-2011) - ha fondato nel 2001 e co-dirige, la rivista di arti visive e beni culturali “Predella” (www.predella.it). Suo ambito di studi privilegiato, ma non esclusivo, è la pittura italiana del Rinascimento. Ha pubblicato numerosi saggi in riviste italiane e internazionali, cataloghi di mostre, atti di convegni. Inoltre è docente presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara e visiting professor presso la Shanghai University e la Renmin University di Pechino.

In questo incontro De Simone ha presentato a grandi linee l’ampio lavoro che ha svolto a partire dal suo dottorato di ricerca presso l’Università di Pisa e che oggi ha raccolto in un libro: “Il Beato Angelico a Roma. 1445-1455. Rinascita delle arti e Umanesimo cristiano nell'Urbe di Niccolò V e Leon Battista Alberti”.

Dopo una breve introduzione di Daniele Benati, De Simone ha iniziato a delineare le varie fasi del lavoro dell’Angelico a Roma, soffermandosi in particolar modo sui cicli di affreschi realizzati dall’artista durante i papati di Eugenio IV e Niccolò V e per il cardinale domenicano spagnolo Juan de Torquemada. Molti di questi affreschi purtroppo sono oggi perduti.

L’Angelico venne chiamato per la prima volta a Roma nel 1445 dal papa veneziano Eugenio IV, il quale, avendo visto gli affreschi di questo artista in San Marco a Firenze, ne era rimasto affascinato. Il papa si trovava a Firenze nel 1443, quando San Marco venne consacrata, poiché era fuggito da Roma da nove anni a causa di una situazione di rivolta che animava in quel momento la capitale. Giunto per la prima volta a Roma, l’Angelico lavorò agli affreschi della cappella di San Nicola - meglio conosciuta come cappella del Sacramento - nel cuore dei Palazzi Vaticani. Questa cappella era stata fatta edificare da Niccolò III Orsini (1279) ed Eugenio IV decise di farla restaurare e di darle nuova vita. Già negli anni trenta del Quattrocento aveva commissionato a Donatello il tabernacolo, al cui centro vi è la “Madonna della febbre” (precedentemente nell’Oratorio di Santa Maria della Febbre) che proprio De Simone ha riconosciuto all’Angelico stesso in base al confronto con altre opere sicure di questi anni.

Nella cappella del Sacramento,che accolse i conclavi dal 1455 al 1534, l’artista venne chiamato ad affrescare il suo primo ciclo romano comprendente scene della vita di Cristo. La decorazione venne distrutta nel 1534, quando papa Paolo III Farnese fece costruire il nuovo salone dei suoi palazzi. L’unica testimonianza di questo ciclo di affreschi è costituita oggi da una serie di disegni su pergamena purpurea che si trovano divisi i musei di Rotterdam e Cambridge (Massachusetts). Riprendendo un’ipotesi di Boskovits, De Simoni ritiene che tali pergamene siano state create per presentare il progetto al Papa prima della messa in opera.

A parere di De Simone in una cappella con le storie di Cristo, come quella del Sacramento, non poteva mancare un “Giudizio Universale”, tanto più che l’Angelico ha affrontato più volte questo tema. Il Giudizio che si accosta maggiormente agli affreschi vaticani dal punto di vista stilistico è quello che oggi si trova nella Galleria Nazionale di Palazzo Corsini. Si trattava sin dall’origine di un trittico, il cui committente fu il cardinale domenicano spagnolo Juan de Torquemada, collaboratore del papa Eugenio IV contro i conciliaristi.

De Simone coglie l’occasione per illustrare, sia pure brevemente, alcuni dei “Giudizi” dipinti dall’Angelico, in particolar modo quello che oggi si trova a Berlino e che viene associato cronologicamente proprio agli anni romani dell’artista, dal quale nei secoli successivi vennero tratte alcune copie (la più famosa, commissionata da Pio V Ghislieri a Bartolomeo Spranger, si conserva nella Pinacoteca Sabauda di Torino).

Parlando della Cappella del Sacramento,Giorgio Vasari (1568) ricorda che al suo interno vi erano raffigurate molte personalità contemporanee all’artista, tra le quali anche Niccolò V. Come può accadere ciò, se la cappella fu voluta e commissionata da Eugenio IV? Ci sono varie ipotesi in merito non ancora accertate. La più plausibile sembra essere quella secondo cui i ritratti di cui parla Vasari non si trovavano nella cappella del Sacramento, bensì in un altro ciclo di affreschi vaticani dell’Angelico, lo studiolo di Niccolò V.

La presenza dell’Angelico a Roma non è continuativa, infatti negli stessi anni egli lavora, per la durata di un’estate, anche agli affreschi della Cappella di San Brizio nella cattedrale di Orvieto; del suo lavoro oggi rimane soltanto un Cristo benedicente ivi ubicato.

Nel 1447 il Beato Angelico inizia a lavorare al suo secondo ciclo di affreschi, quello della cappella di San Pietro. Per questa commissione abbiamo come testimonianza le ricevute di pagamento al pittore, ma nulla ci è pervenuto per il suo maggior aiutante: Benozzo Gozzoli. Non è molto chiaro ciò che ha dipinto davvero l’Angelico. Si sa che la cappella conteneva degli antichi affreschi di Giotto e dunque c’è chi pensa che egli non abbia fatto nulla di nuovo, se non restaurare tali affreschi. Secondo la testimonianza di Vasari,negli stessi anni l’artista è conosciuto e apprezzato anche come miniatore. Ma in realtà è possibile che alcune miniature a lui attribuite siano state eseguite da Benozzo.

Nel 1448 viene commissionato all’Angelico un altro importante ciclo di affreschi in Vaticano, forse il più conosciuto di questo suo periodo romano, anche perché è l’unico ad essersi conservato: sono i dipinti per la cappella di San Lorenzo, meglio conosciuta come cappella Niccolina. Essa ha le dimensioni di una cappella quattrocentesca e al suo interno contiene, in due cicli paralleli composti di sei scene ciascuno, le storie di San Lorenzo e di Santo Stefano: un ciclo assai apprezzato anche da Raffaello, che le prese a modello per la sua opera vaticana e non solo. De Simone ha molto approfondito la fortuna che questi affreschi hanno avuto nei secoli: un primo libro corredato di incisioni venne pubblicato già nel XVIII secolo e un articolo molto importante del secolo successivo propone un’incisione che mostra la decorazione presente sulla parete dell’altare andata perduta. In un periodico della fine dello stesso secolo comparve inoltre l’immagine dell’incontro di Niccolò V con l’Angelico, associata alla poesia di un poeta tedesco ora poco noto.

De Simone ha dato molta importanza al riconoscimento e allo studio delle fonti iconografiche usate per questi affreschi. Fondamentale in tutte le scene è il rapporto con l’architettura, che come notò lo storico dell’arte tedesco Richard Krautheimer sembra sovente riecheggiare i progetti per la nuova San Pietro. Infatti è proprio sotto il pontificato di Niccolò V che vengono intrapresi i lavori per la nuova Basilica e che Bernardo Rossellino realizzò il nuovo coro. Durante il suo meticoloso studio di questa cappella, De Simone ha cercato per ogni lunetta di individuare chi Angelico potesse avere citato e chi, in seguito, abbia citato lui.

Solo alcune di queste lunette sono state illustrate durante la conferenza, come per esempio la prima del ciclo su San Lorenzo con “L’ordinazione diaconale di San Lorenzo da parte di papa Sisto”, ove questi ha le sembianze di Niccolò V e uno dei tre cardinali presenti è proprio Torquemada. La scena del “Risanamento degli storpi” è, invece, quella che maggiormente si avvicina al Masaccio della Brancacci, mentre la “Donazione dei tesori della chiesa a San Lorenzo” può facilmente essere messa in relazione con una delle formelle del Filarete per la porta di San Pietro. Più in generale, l’Angelico si richiama sovente agli affreschi di Giotto nelle cappelle Peruzzi e Bardi in Santa Croce.

De Simone ha studiato anche il pavimento di questa cappella. Da sempre attribuito ad uno degli assistenti del Filarete, confrontando il rosone centrale del pavimento con quello di Santa Maria Novella, egli ritiene possa essere ricondotto a Leon Battista Alberti.

Sempre del periodo romano, secondo De Simone e altri studiosi, è “La Madonna della Minerva” probabilmente dipinta per il Giubileo del 1450.

Infine, l’ultimo ciclo attribuibile all’Angelico a Roma è quello di Santa Maria sopra Minerva, purtroppo andato completamente perduto. Di certo sappiamo che l’Angelico lo realizzò per il cardinale Torquemada e che comprendeva ben trentaquattro scene dell’Antico e del Nuovo Testamento corredate da lunghe iscrizioni, il che richiama le “Meditationes” fatte stampare da Torquemada nel 1467, corredate da xilografie per le quali alcuni studiosi hanno proposto il nome di Antoniazzo Romano, ma che per De Simone dipendono dai perduti affreschi l’Angelico. Sappiamo, inoltre, della presenza costante di un piccolo monaco domenicano, sempre lo stesso tranne ove è rappresentato il cardinale Torquemada inginocchiato dinnanzi a papa Sisto, dal che possiamo facilmente intuire che quel monaco non è altro che lo stesso cardinale.

La conferenza si è conclusa con un lungo applauso. Purtroppo, data l’ora, non c’è stato tempo per interventi da parte del pubblico, ma certamente tutti coloro che hanno assistito hanno portato con sé oltre alle molte domande inespresse anche il piacere di un racconto davvero ben articolato e coinvolgente.