Vai alla Homepage del Portale di Ateneo Laurea Magistrale in Arti visive

Olivo Barbieri: 40 anni di immagini 1978-2018

Articolo redatto da Andrea Zoccali e Stefano Di Luccia per la rubrica collegArti in occasione dell'incontro con Olivo Barbieri nel contesto de "I mercoledì di Santa Cristina".

30 gennaio 2019

Olivo Barbieri: 40 anni di immagini 1978-2018

Andrea Zoccali e Stefano Di Luccia

Mercoledì 30 gennaio si è inaugurata - all'insegna dell'apertura verso la città e le sue manifestazioni culturali - la stagione 2019 dell'ormai consolidata tradizione dei Mercoledì di Santa Cristina: Olivo Barbieri, “Quarant'anni di immagini 1978-2018”.

Questa prima conferenza ha proposto un interessante confronto con il celebre fotografo carpigiano, presente all’edizione 2019 di Artefiera all'interno della mostra dedicata alle collezioni pubbliche e private dell'Emilia Romagna “Solo figura e sfondo”.

A fare gli onori di casa è stato Daniele Benati, coordinatore della rassegna, che subito prima di presentare brevemente il calendario previsto per il 2019, ha ricordato il ruolo fondamentale dei molti docenti attivi nell'organizzazione di tali incontri, a beneficio di tutti gli studenti e della vivacità culturale, non di rado interdisciplinare, del Dipartimento delle Arti.

La parola è passata a Claudio Marra, che per l'occasione si è fatto intervistatore puntuale ed entusiasta.

La prima sollecitazione ha riguardato la definizione stessa di fotografo, se essa sia o meno applicabile a Olivo Barbieri. La risposta è stata tranchant: Barbieri sente di condividere con la categoria in questione solo i mezzi tecnici, ma non l'operatività pratica e soprattutto le finalità.

Si discosta convintamente da un'idea di fotografia come congelamento della realtà ontologica visibile per avvicinarsi piuttosto ad una restituzione personale, dichiaratamente soggettiva e potremmo dire anche fortemente pilotata, dell'immagine che interessa all'autore.

Attraverso una decisa semantizzazione dei termini - che Claudio Marra fa notare non essere condivisa da tutta la critica di settore - Olivo Barbieri ha proposto l'aforisma: “le immagini cominciano quando finisce la fotografia”.

La definizione che Barbieri ha dato di se stesso, se di una definizione si dovesse aver bisogno, è quella di “creatore di immagini”, termine utilizzato per esprimere un più vicino sentimento d'appartenenza alla categoria degli artisti, i quali della fotografia hanno fatto uso come mezzo fra i più tecnologicamente avanzati di cui potessero disporre per la rappresentazione della realtà. Espliciti riferimenti sono Man Ray o Andy Warhol: ad essi l'ospite si sente vicino per l’approccio alla fotografia.

Barbieri ritiene che la gran parte della fotografia contemporanea sia eccessivamente prona al consumismo visivo dei giorni nostri, sempre uguale a se stessa e priva di curiosità per la sperimentazione di nuovi contenuti.

È sulla base di questi ragionamenti che a partire dai tardi anni Settanta - le prime sperimentazioni si ritrovano nel lavoro denominato Flippers - sviluppa la tecnica del fuoco selettivo, ovvero la scelta di mettere a fuoco solo una parte del quadro, consegnando al fruitore, più che una immagine documentaristica della realtà, il punto di vista proprio di chi scatta (anche da questo termine, pronunciato da Marra con scherzosa e apparente noncuranza, l'ospite si discosta con vigore).

Dunque una “errata” messa a fuoco intesa come possibilità espressiva sul modello di quanto già fatto a più riprese in pittura ed, in particolare, segnatamente all'influenza esercitata su di lui, nelle sperimentazioni di Gerhard Richter.

A partire dal 2003 Barbieri sperimenta una nuova tecnica: fotografie scattate - ci perdoni l'artista - in volo, da un elicottero.

La distanza da terra, il particolare punto di vista, l'uso del banco ottico e di fondamentali obiettivi decentrabili, fanno sì che si ritrovi nelle immagini fissate dall'obbiettivo - paesaggi urbani e raccordi autostradali - un effetto di miniaturizzazione sorprendente, quasi come se la realtà si fosse tramutata in un enorme plastico, nel quale gli oggetti cambiano forma e gerarchia.

La distanza fra la più limpida impressione del visibile e la deformazione dello stesso non potrebbe essere più grande; il dubbio insidia l'osservatore che non comprende se l’immagine che ha di fronte sia vera o finta, ma d'altronde questo è lo spirito di Barbieri, che ritiene unica alternativa possibile, per chi si occupi di produrre immagini nella contemporaneità, quella di giocare con le categorie del ‘pittoresco’ e del ‘sublime’ -“demonizzati dal decadentismo in poi”- e realizzare “immagini stupide che sono sofisticate e immagini sofisticate che sono stupide”.

Le due successive domande di Claudio Marra hanno messo in luce il tratto tipico di un artista sempre in cerca di nuovi linguaggi: ovvero se non fossero state scelte avventate l'abbandono del paesaggismo operato alla fine degli anni Ottanta, quando Luigi Ghirri e i fotografi a lui vicini - e con loro Barbieri - andavano finalmente conquistandosi uno spazio importante nel panorama della fotografia italiana e internazionale e, nella stessa direzione, se il trasferimento della fotocamera dal suolo al cielo e l'allontanamento dall'Emilia e dall'Italia, tradizionali campi d'interesse dell'artista, per privilegiare soggetti in paesi extraeuropei, non si configurasse “come una fuga dall'abbraccio soffocante del ghirrismo”.

Barbieri sottolinea il forte legame che lo unisce alla sua terra, la stima da lui tributata a quei fotografi e a quegli artisti in grado di descrive per tutta la vita lo stesso luogo sotto mille diverse sfumature e scherzosamente rivela una qual certa antipatia per gli artisti “sempre in movimento”.

Se la sua arte si è fatta internazionale è perché quei contesti raccolti, quei microcosmi paesani, cittadini, nazionali, “i media, oggi, te li raccontano in modo completo”.

Il suo interesse, allo scadere del secondo millennio e all'inizio del terzo, si è spostato sul mondo globalizzato, sulle grandi metropoli e sulla loro forma.

È da questa nuova curiosità che prendono corpo gli innumerevoli site specific, che da Los Angeles a Pechino, passando ovviamente per Roma, sembrano comporre un catalogo delle diverse sensibilità dei popoli, attraverso continui e fragili legami tra oriente e occidente.

In molti di questi lavori il colore ha un impatto fortissimo, tanto più quando si viene a scoprire che quasi nulla è aggiunto in postproduzione e che la vitalità delle colorazioni, che talvolta appaiono cartoonesche, è quella dell'impressione originale.

L'effetto, di certo sorprendente, è ottenuto per sottrazione, tramite la desaturazione di alcune zone dell'immagine: così come con il fuoco selettivo Barbieri gioca con lo spettatore, guidandone lo sguardo, ma al tempo stesso confondendolo circa la natura dell'immagine, vera, eppure forzata, soggettiva.

La stessa vena divertita, la stessa sperimentazione teorica, è approfondita attraverso un altro media: il video.

In questi lavori Barbieri riprende dall'alto metropoli che appaiono come miniaturizzate, delizie per gli occhi, piccole e graziose bomboniere in cemento e acciaio, mentre una colonna sonora artefatta dichiara il significato dell'opera. Come in Las Vegas 05, in cui alla splendida vista aerea dei giochi d'acqua delle fontane si sovrappone il fragore drammatico di un bombardamento: l'illusione del candore di una società che ha nella violenza uno dei suoi tratti distintivi.

Dalle prime sperimentazioni sulla luce artificiale e su quella notturna al successo di un fotografo di fama internazionale; dai lavori su dipinti liberamente reinterpretati a quelli sulle piattaforme petrolifere; dal peso dei vecchi rulli della pellicola 35 mm alle imbragature necessarie per poter catturare immagini dall'elicottero; dai donuts americani riportati in forme archetipiche alle curvature della volta in una chiesa di Carpi; i temi toccati durante l'incontro sono moltissimi.

D'altronde non poteva essere altrimenti in una chiacchierata che si proponeva di ripercorrere i quarant'anni di una carriera così interessante, coraggiosa e multiforme, come quella di Olivo Barbieri.

L'incontro, largamente partecipato da studenti e curiosi, si è protratto sino all’orario della chiusura della struttura sottraendo, pertanto, parte dello spazio tradizionalmente dedicato alle domande del pubblico.

L'augurio è che possa esserci in futuro una nuova occasione, durante la quale chiarire i nodi non del tutto dipanati: sarebbe di certo un altro graditissimo momento.