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PER UN’ARCHEOLOGIA DEL CONTEMPORANEO: IL PROGETTO POMPEII COMMITMENT

A cura di Nicoletta De Santoli

16 febbraio 2022

 

Per un’archeologia del contemporaneo: il progetto Pompeii Commitment

 Nicoletta De Santoli

 

Vista del sito archeologico di Pompei, Oleg Albinsky, 2008

Il 16 febbraio 2022 l’Aula Magna del complesso di Santa Cristina ha ospitato, nel ciclo di incontri I Mercoledì di S. Cristina, la presentazione di un originale progetto di dialogo tra archeologia e arte contemporanea dal titolo Pompeii Commitment: un programma pubblico fra archeologia del futuro e fantascienze del passato. La conferenza, moderata daRoberto Pinto, è stata tenuta da Andrea Viliani, direttore del Museo delle civiltà di Roma nonché ideatore e curatore scientifico di Pompeii Commitment, iniziativa capace di riattivare le rovine del sito archeologico sotto la lente della contemporaneità.

Andrea Viliani ha esordito riportando il pubblico all’ottobre del 79 d.C., quando l’eruzione del Vesuvio seppellì la città di Pompei sotto la sua coltre piroclastica. Nonostante l’incipit sembri quello di tutte le altre narrazioni della storia pompeiana, il progetto Pompeii Commitment non legge l’evento catastrofico soltanto come causa della scomparsa di questa città, bensì come una «matrice generativa di arte contemporanea». Grazie alla catastrofe, infatti, la prossimità della Roma antica al tempo presente risulta tangibile: come ha affermato lo stesso Viliani, «i romani a Pompei sembrano essersene andati quindici minuti fa». In che modo, tuttavia, rovine datate quasi duemila anni interpellano la cultura contemporanea? Per cominciare, è necessario rimuovere quella fissità con cui etichettiamo gli accadimenti storici. Infatti, gli archeologi hanno scoperto solo di recente che l’eruzione potrebbe non essere avvenuta ad agosto, ma a ottobre, ricordando quanto persino un tempo così lontano e sedimentato non debba essere considerato “cosa certa” solo perché è già accaduta. Piuttosto, sembrerebbe che talvolta il passato abbia la stessa gradazione di incertezza del futuro: in entrambe le realtà temporali non possiamo che procedere per tentativi e interpretazioni. Addentrandosi nelle riletture delle memorie pompeiane che il progetto offre, Viliani è partito proprio da quegli oggetti che ne testimoniano la storia.

Pompeii Commitment si presenta anzitutto come un portale di ricerca, definito da Viliani «la quarta porta di accesso al sito archeologico», oltre alle prime tre reali. Attraverso un programma di pubblicazioni settimanali, il sito archeologico viene continuamente riconfigurato articolandosi in diverse sezioni, pensate come forme alternative di conoscenza: nel Modernarium si trovano gli editoriali; i Pompeii Commitment sono il fulcro della ricerca con i contributi degli artisti; le Fabule/Historie raccolgono testimonianze e documenti; l’Inventario è un museo alternativo e transdisciplinare; la Collectio funge da collezione di progetti, documenti e prototipi e infine la Biblioteca in formazione, a metà tra archeologia e futurologia. Tutte le sezioni, pensate come possibili dipartimenti comunicanti, partono dallo studio ravvicinato della “materia prima” pompeiana per giungere alle rielaborazioni contemporanee. Risulta dunque interessante soffermarsi sui due poli del progetto: l’Inventario, con oggetti e resti provenienti dal sito, e i Commitment, con gli interventi artistici da essi scaturiti.

«A Pompei, dopotutto, si stava vivendo prima di morire» ha affermato Viliani: il punto di partenza è per questo individuabile proprio nell’affollarsi di corpi, animali e oggetti di ogni genere, appartenuti tanto alla miseria quanto alla nobiltà, raccolti nella sezione dell’Inventario. Viliani si è soffermato soprattutto sulla metamorfosi che questi oggetti hanno subìto: le materie non sono state annientate dall’eruzione, ma hanno reagito trasformandosi. Ogni oggetto è stato difatti ricreato “artisticamente” dalla forza vulcanica attraverso la fusione e la reazione dei materiali: siamo davanti a una sorta di creazione a più mani, a un connubio di energie diverse che «va oltre l’antropocene». Gli oggetti portano sulla loro pelle il passaggio di molteplici eventi: l’intero progetto parte proprio da questo dato, ossia dalla totalità dei reperti del nostro patrimonio e dalla molteplicità della loro forma. L’intento dell’Inventario, infatti, è anche di riportare in superficie ciò che spesso è celato negli archivi: da strumenti di scavo a maschere, affreschi, semi, ossa, calchi, strumenti, pigmenti e mosaici.

Viliani, dopo aver introdotto la portata semantica dei tesori di Pompei, ha quindi messo in luce le connessioni con l’arte contemporanea grazie alla sezione Pompeii Commitment, raccolta dei contributi di alcuni artisti internazionali che si sono confrontati con le rovine della città all’interno del progetto. Il lavoro più recente è stato realizzato da Cassandra Press, con Kandis William e Brandon English, dal titolo A ruin, con la collaborazione di Stella Bottai e Laura Mariano, presenti in conferenza. L’opera consiste nella proiezione, sulle rovine-monumenti di Pompei, di alcune immagini della protesta avvenuta a Minneapolis il giorno dell’uccisione di George Floyd. Il dialogo con Pompei sta nei Tituli picti, scritte politiche di propaganda presenti sugli edifici del tempo, che spesso riguardavano gli emarginati senza diritto alla vita pubblica, nella speranza di dar voce alla loro condizione: una sovrapposizione dei Tituli picti di oggi sui Tituli picti di ieri. Un altro contributo interessante è stato ideato da Simone Forti, famosa artista performativa: il linguaggio da lei sperimentato attraverso la danza e realizzato in quest’occasione da Sara Swenson – che ha ballato al posto di Forti, ormai ottantenne – utilizza movimenti primari e quotidiani, richiamando la gestualità ricca e varia dei calchi pompeiani. Ancora, Liam Gillick ha riletto l’eruzione attraverso il video Archaeology Projected, che mostra all’osservatore ciò che vedrebbe dall’alto del cuore magmatico del vulcano.  

La conferenza si è conclusa citando uno dei primissimi commitment, quello che ha portato i curatori del progetto a scegliere di ribattezzarsi “manutentori”: il Manifesto for maintenance art di Mierle Laderman Ukeles, accompagnato dall’esibizione Care, in cui l’artista esorta alla manutenzione artistica attraverso gesti umili come lavare, spazzare e ripulire. Lo stesso Viliani, infatti, ha ricordato che «oltre a creare le cose, è necessario prendersene cura».

Come dimostrato da questo originale e ambizioso progetto, Pompeii Commitment va ben oltre un mecenatismo autoreferenziale: la sua circolarità sta piuttosto nell’interesse per quel dinamismo tacitamente serbato nelle strade e negli oggetti che la città sepolta dal Vesuvio ci ha inconsapevolmente donato. Come in una nuova età aurea, il sito archeologico rinasce con l’arte e la cultura contemporanea e si consegna a noi anzitutto come una trama, sottile ma resistente, tra passato, presente e futuro. Pompei non è il residuo di un tempo lontano e alienato, ma è materia viva, ricca e attuale, che aspetta solo di essere riaccesa con lo sguardo, la mente e l’arte.