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Sesto Atelier di formazione alla ricerca – La metodologia di studio delle arti decorative attraverso l’analisi di casi specifici

Articolo redatto da Giorgia Grossi per la rubrica collegArti in occasione del sesto Atelier di formazione alla ricerca.

2 febbraio-23 marzo 2018


Sesto Atelier di formazione alla ricerca – La metodologia di studio delle arti decorative attraverso l’analisi di casi specifici

Giorgia Grossi

A partire dall’Ottocento le arti decorative - unanimemente definite “minori” - cominciarono ad essere considerate alla pari delle arti figurative, come la pittura e la scultura, le cosiddette “arti maggiori”. I musei iniziarono ad acquisire numerose testimonianze di questa tipologia, provenienti da collezioni private, con la duplice finalità di fornire la conoscenza e la comprensione di queste raccolte al pubblico e di mostrare il lavoro delle maestranze del passato e, allo stesso tempo,applicazioni tecniche “dal vero” agli artigiani.

Per consentire agli studenti della Laurea Magistrale in Arti Visive di entrare in contatto con questo mondo la coordinatrice del Corso di Studi, Sandra Costa, ha organizzato, per l’ormai usuale appuntamento degli Atelier di formazione alla ricerca, un ciclo di incontri sulla metodologia di studio delle arti decorative attraverso l’analisi di un caso specifico: le collezioni ottocentesche di tessuti presenti nei Musei Civici di Bologna. Il percorso è stato suddiviso in quattro incontri; due in aula, il primo tenuto da Silvia Battistini, conservatore delle Collezioni Comunali d’Arte, e il secondo da Anna Rosellini, e due in loco: alle Collezioni Comunali d'Arte di Palazzo d’Accursio e al Museo Civico Medievale.

Durante il primo incontro Silvia Battistini ha approfondito come caso di studio l’attuale progetto di allestimento del fondo di tessuti antichi del Museo Civico Medievale di Bologna. La ricerca, ancora in corso d’opera, è nata nel 2005 quando l’Istituto dei Beni Culturali dell’Emilia-Romagna ha pubblicato una rassegna sulle collezioni tessili della regione dal titolo “Il filo della storia – Tessuti Antichi dell’Emilia-Romagna”, che ha evidenziato la presenza di una considerevole collezione di tessitoria nei depositi dei Musei Civici di Bologna. Questa prima sommaria indagine ha permesso di ottenere dei fondi regionali per indagare, in modo più approfondito, questo patrimonio, “impilato”, fino a quel momento, dentro cassettiere collocate nei depositi.

La ricerca è inizialmente progredita con lentezza, a causa delle difficoltà riscontrate davanti alla vasta serie di campionari di tessuti, agli esigui studi condotti, fino a quel momento, sulle arti decorative tessili e ai pochi conoscitori e ricercatori con cui potersi consultare. Si trattava di circa 800 pezzi tra velluti, rasi vellutati, damaschi, lampassi, broccati, pizzi, merletti, galloni, bordi ricamati, passamanerie, frange e nappe, di varie tipologie ed epoche, in prevalenza databili fra il Cinque e il Seicento,inseriti in 200 cartelle.

Ma quale è il motivo per cui questa collezione è stata dimenticata nei depositi fino a questo momento? Domanda lecita, a cui Silvia Battistini ha prontamente risposto, collegandosi alla storia travagliata dei Musei Civici di Arte Antica di Bologna, nati in quel clima post unitario di fine Ottocento che intrecciava il tema delle arti applicate con quello delle illustri e operose radici medievali e rinascimentali cittadine. Negli anni Venti del Novecento, questo insieme di manufatti legati alla vita quotidiana, venne ricollocato secondo il progetto di Francesco Malaguzzi Valeri. Nacque, così, il Museo d'ambiente Davia Bargellini, le cui sale furono allestite come “Period Room”, una sorta di “macchina del tempo” al servizio della ricostruzione ed evocazione storica attraverso oggetti di uso quotidiano che introducessero e accompagnassero il visitatore alla scoperta della cultura del passato. Nella prima sala Malaguzzi Valeri collocò i pezzi di uso più comuni, tra i quali anche i materiali tessili. In seguito all’istituzione della nuova sede del Museo Civico Medievale, queste stoffe furono staccate dai loro espositori e portate nei depositi, in attesa di trovare una collocazione più idonea che, però, non venne mai definita e pertanto rimasero ivi per quasi cent’anni.

Il primo compito che Silvia Battistini dovette affrontare fu quello di comprendere l’origine e l’acquisizione di questi campionari, avvenuta in momenti diversi tra il 1881 e i primi decenni del Novecento, attraverso indagini documentarie e studio dei cartellini storici cuciti su di essi. Il fondo si inquadra nel più generale fenomeno di passaggio dal collezionismo aristocratico di tessuti all’acquisizione museale di questo patrimonio: alcuni cognomi dei precedenti proprietari erano dichiarati, come Silvestrini, Lambertini o Muzzi, mentre altri cartellini riportavano la semplice dicitura “Municipio” e un numero d’inventario differente. Per comprendere l’origine di questa nomenclatura furono avviate approfondite ricerche nelle guide storiche e nei documenti d’archivio, fino alla scoperta, all’interno di scambi epistolari dell’epoca, che una parte di queste stoffe fu inviata al conte Luigi Alberto Gandini, importante collezionista modenese di merletti e tessuti, chiamato a catalogare il fondo allora posseduto dal Museo.

Una volta ricostruita tutta la vicenda collezionistica, il passo successivo fu quello di avviare una campagna fotografica a colori per creare un archivio dati e procedere con la schedatura di ogni singolo pezzo. L’attività si rivelò problematica, perché non esisteva un tipo di scheda per i manufatti tessili, e alla fine la scelta ideale sembrò quella di utilizzare la scheda AO, usata solitamente per le opere pittoriche, implementata con parti specifiche per i tessuti. Infine venne realizzata una sanificazione o restauro dei pezzi che presentavano la situazione conservativa peggiore, insieme a uno studio utile a capire come conservare in futuro questi frammenti: sia per una possibile esposizione, sia per consentire agli studiosi una più veloce fruizione nei depositi.

La sala espositiva è quasi pronta, come abbiamo potuto vedere durante la visita nella sede del Museo Civico Archeologico accompagnati da Silvia Battistini. I lavori di progettazione museale sono iniziati nel 2007; la stanza, originariamente un corridoio, è stata riadattata per essere trasformata in un ambiente con cassettiere con ante a scorrimento che contengono alcuni esemplari della collezione. Le dimensioni ristrette e i problemi di alterazione dei tessuti, che non possono essere esposti in modo continuativo alla luce, hanno orientato i conservatori verso un allestimento ciclico per cui ogni sei mesi, circa, essi saranno sostituiti. Per consentire comunque ai visitatori del museo di vedere e conoscere l’intera collezione verrà predisposto in sala un computer, il cui data base conterrà tutte le schede informative consultabili.

All’interno i Musei Civici è presente un altro fondo di tessuti, già da tempo collocato nel percorso espositivo del Museo Civico di Palazzo d’Accursio: la ricca produzione Aemilia Ars Merletti e Ricami, che abbiamo avuto la possibilità di vedere sempre accompagnati da Silvia Battistini.

Aemilia Ars venne fondata dal restauratore e letterato bolognese Alfonso Rubbiani nel 1898 con l'obiettivo di rinnovare le arti applicate bolognesi. Ispirandosi ai motivi decorativi dell'arte medievale vennero prodotti raffinati oggetti d’uso quotidiano come pizzi, mobilia o gioielli che recuperavano temi iconografici dalla natura e dalle sue forme con decorazioni zoomorfe e vegetali. La contessa Lina Bianconcini Cavazza guidava l'attività tessile di quella che diventò una Cooperativa di lavoro femminile: centinaia di donne bolognesi poterono trovare un lavoro e ricevere uno stipendio proprio. Produssero un'ampia gamma di disegni di modelli antichi e moderni in stile floreale con elementi vegetali e decorazioni geometriche a carattere liberty. Nel 1935 la contessa vendette al Comune i disegni e il campionario di merletti e ricami, che approdarono alla nuova Galleria istituita in palazzo d’Accursio, ancora allestito secondo il gusto e il pensiero di Alfonso Rubbiani e di Francesco Malaguzzi Valeri: si fondevano in un’armonica continuità i temi della quadreria, dell’arredo e delle arti applicate. I campionari Aemilia Ars furono collocati entro vetrine poste vicino ai dipinti della fine dell’Ottocento con una funzione prevalentemente di arredo.

Le teche della sala, come ci ha fatto notare Silvia Battistini, non rispettano quelle che sono le norme espositive odierne per le opere in tessuto. Si tratta, infatti, di espositori fissi e con piano in vetro, senza la possibilità di proteggere dalla luce i manufatti al loro interno. Teche molto diverse da quelle progettate in funzione del nuovo allestimento nel Museo Civico Archeologico, ma che in futuro si auspica possano essere adottate anche in questo caso.

Anna Rosellini ci ha, invece, parlato dell’architetto tedesco Gottfried Semper e di come tessuti, abiti, gioielli e tatuaggi occupino una parte considerevole dei suoi interessi. Nella sua opera, Der Stil (1860), Semper si è interamente dedicato all’arte tessile, dalla quale, secondo lui, tutte le altre si sono evolute ricavandone tipologie e simboli. Alla base della sua teoria sulla grammatica del visivo c’è, infatti, il tessuto, “forma base” del tutto, che ha costituito fin dal principio il setto di delimitazione degli spazi abitati, da cui ha avuto origine l’architettura. La costruzione delle murature, nascoste dietro alla parete tessuta e funzionali alla resistenza meccanica dell’edificio, formava uno scheletro non visibile e secondario che riprendeva i principi del telaio. Anche la decorazione muraria presente in tutte le civiltà antiche e primitive nasce, secondo Semper, dalla volontà di ricreare la trama ornamentaria che rievoca quella dei tessuti indossati. L’arte tessile viene usata in un’ottica di antropologia sociale per spiegare il legame tra l’uomo, le materie e le tecnologie e la sua evoluzione nei secoli.

Il ciclo di incontri è stato molto apprezzato, in quanto ha reso possibile l’avvicinamento ad un settore artistico che, seppur oggi unanimemente considerato di preminente importanza, non trova sempre adeguato spazio di approfondimento nelle aule dell’Università. La complementarietà tra lezioni frontali e le visite alle collezioni è risultata una formula particolarmente adatta a soddisfare esigenze di analisi su temi specifici.