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Tecnologia, arte e cultura contemporanea. L’esperienza dell’osservatorio Digicult

Articolo redatto da Marta Mazzoni per la rubrica collegArti in occasione dell'incontro con Marco Mancuso.

27 marzo 2018


Tecnologia, arte e cultura contemporanea. L'esperienza dell'osservatorio Digicult

Marta Mazzoni

Lunedì 27 Marzo Silvia Grandi ha organizzato un incontro con Marco Mancuso intitolato Tecnologia, arte e cultura contemporanea. L’esperienza dell’osservatorio Digicult

Marco Mancuso è un critico d’arte indipendente, curatore, editore e docente presso l’Accademia Carrara di Bergamo - dove insegna Sistemi editoriali per l’Arte - e l’Accademia delle Belle Arti e lo IED di Milano - dove si dedica a corsi di New Media Art, Digital Culture e Fenomenologia dell’Arte Contemporanea. Da circa un anno e mezzo collabora con la Galleria Adiacenze di Bologna, per la quale ha recentemente curato la personale del giovane videomaker Virgilio Villoresi dal titolo Click Clack.

Marco Mancuso, negli anni, ha focalizzato la propria ricerca sull’impatto provocato dalle nuove tecnologie e dalle scienze sull’arte, sul design e sulla cultura contemporanea. Durante l’incontro ne ha proposto un’esaustiva panoramica, in particolare concentrandosi sui problemi che si è costretti ad affrontare e sulle soluzioni concrete ad essi correlate, proponendo molti esempi per consentire al pubblico di recepire appieno l’impatto di modalità che sembrano sconvolgere il mondo dell’arte contemporanea, a partire dalla ri-definizione di chi si possa oggi definire artista.

La sua esperienza nasce dall’aver fondato quello che lui definisce il “super-portale” online - viste le dimensioni raggiunte - Digicult, che è stato creato nel 2005 come progetto editoriale indipendente. Un periodo di tempo che potrebbe sembrare breve – tredici anni – ma che, vista la rapidità dell’impatto che stanno avendo le nuove tecnologie sul mondo artistico, è in realtà molto significativo. Tale presenza è diventata sempre più invasiva e risulta interessante osservare come la nuova generazione di artisti sia riuscita a confrontarsi con questa evidenza.

La conferenza ha avuto come tema fondamentale quello dell’interdisciplinarietà: Digicult, muovendosi tra gli ambiti che più di tutti caratterizzano oggi la cultura, ha potuto collegare ed intrecciare tra loro diverse discipline: suono, arte, design, ma anche cultura, politica, reti e scienze, analizzando i riflessi che queste hanno sulla società odierna. L’idea è stata, infatti, quella di proporsi come un osservatorio sull’interdisciplinarietà che, dal punto di vista del fondatore, rappresenta il tratto caratterizzantedel mondo contemporaneo.

Digicult è molto utilizzato da docenti universitari e da chi fa ricerca, ed è in doppia lingua; anzi,come racconta Marco Mancuso, l’italiano è mantenuto solamente per un senso quasi “romantico”. Digicult non produce soltanto contenuti propri, ma raccoglie al suo interno saggi di critici di formazione molto diversa tra loro: chi si occupa di arte contemporanea, chi di design, chi di architettura, performance, musica, sound art, di rapporto arte-scienza, software, grafica e chi unisce questi ambiti all’insegna dell’interdisciplinarietà come fondamentale chiave di lettura del mondo dell’arte contemporanea. 

Nell’ambito dell’editoria, delle molte riviste che si occupano di arte contemporanea - daFlash Art ad Artribune - poche propongono progetti editoriali di critica specificatamente rivolti al rapporto arte-scienza, così come sono pochi gli spazi espositivi che vi si dedicano. Secondo Mancuso questo non sarebbe di per sé un male, ma distinzioni così categoriche rischiano di creare piccoli mondi di nicchia, come purtroppo sta succedendo con i Media Art. Del resto questo aspetto è forse inevitabile, dato che il rapporto arte e nuove tecnologie è storicamente collegato all’evoluzione di specifici movimenti – dal Bauhaus, al movimento d’Arte Cinetica e Programmatica; dalle sperimentazioni video degli anni Settanta, all’arte elettronica degli anni Ottanta del Novecento.

Come si è detto, non sono molti in Italia gli spazi espositivi che danno la possibilità agli artisti di fare mostre in cui la tecnologia sia fortemente presente; sono invece più numerosi quelli esteri. Marco Mancuso ha fornito esempi di gallerie come la Bitform di New York che, nella “grande mela”, è la più importante rispetto a queste tematiche e si occupa prevalentemente di arte e nuove tecnologie, lavorando con una schiera di artisti - tra i più importanti al mondo - che utilizzano tecnologie digitali, software, e via dicendo. O ancora il DAM (Digital Art Museum), un luogo che raccoglie al suo interno sia la funzione museale che quella di galleria, sotto la direzione di Wolf Lieser - uno dei primi galleristi che ha creduto nell’idea che l’arte tecnologica potesse essere esposta e venduta. 

Marco Mancuso ha sottolineato, infatti,che un certo tipo di sperimentazione artistica fatica ad entrare nei mondi delle gallerie e nelle fiere. Trattandosi, talvolta, di opere d’arte immateriali, non concrete, hanno in qualche modo bisogno di essere oggettivizzate e avere una propria presenza fisica e un proprio spazio per poter essere esposte, vendute, collezionate, archiviate ed infine storicizzate attraverso la loro presenza nei musei. Tutte attività necessarie a dotare di identità questo tipo di espressione artistica, spesso creata da professionisti con diverse competenze - ad esempio cineasti o video maker - e che solo dopo il passaggio in esposizione vengono riconosciuti come artisti. Questo ci dimostra, inoltre, come ormai non sia più possibile pensare ad una categorizzazione stringente per gli artisti, dal momento che si possono definire in tal modo anche operatori di mondi che non hanno avuto una formazione strettamente artistica, ma che si avvalgono dell’ausilio di laboratori specializzati e diverse tipologie di tecnici per la creazione delle loro opere. 

Marco Mancuso chiama queste espressioni artistiche Art Industries, utilizzando un termine che non esiste ancora, ma che a suo parere è perfetto per descrivere gli ambiti di ricerca in cui si svolgono queste sperimentazioni. Quello che sta succedendo oggi, quindi, è che lentamente si stanno contaminando mondi diversi, creando nuove reti tra l’ambiente delle industrie, della ricerca scientifica, dei professionisti dell’arte e degli artisti comunemente riconosciuti.

Mancuso ha poi proposto diversi esempi di Art Industries tra cui quello della Science Gallery, letteralmente una galleria della scienza dedicata esclusivamente a produrre ed esporre lavori che operano sul rapporto tra arte e scienza, e che utilizzano processi scientifici, nanotecnologie, biotecnologie e robotica. La galleria aprirà ufficialmente il prossimo anno a Venezia ed è legata all’Università Ca’ Foscari con cui ha aperto un’interessante collaborazione.

Molte delle opere di cui si è trattato sono prodotte da un software, di conseguenza è possibile immaginare come cada il concetto di unicità, aspetto che i collezionisti non vedono di buon occhio. È anche vero, però, che si stanno sviluppando nuovi mercati, grazie a piattaforme come, ad esempio, Seditionart, che permette di vendere e collezionare opere - prevalentemente audiovisivi o“grafica generativa” - che vengono riprodotte in un numero limitato di copie, dalle quattro alle cinquemila. Inoltre esistono e si stanno sviluppando musei che espongono e collezionano unicamente opere realizzate con le nuove tecnologie.

Marco Mancuso ha poi trattato del delicato ruolo di “incubatori” che stanno assumendo alcuni musei, creando al loro interno spazi in cui giovani aspiranti artisti possano completare la loro formazione non solo dal punto di vista tecnico, ma dando anche ampio spazio ad una propria ricerca linguistica, sotto la guida di professionisti. Secondo il suo personale parere questi progetti scontano, talvolta, l’errore di mettere in contatto aziende e potenziali finanziatori con una non sufficiente preparazione in ambito artistico. Qualcosa potrebbe forse cambiare se questi musei si trovassero in città all’avanguardia in questo campo, come New York, e questi “incubatori” fossero posti sotto la direzione di operatori con adeguate competenze professionali, così da realizzare un sistema comprensivo di tutte le figure necessarie per l’affermazione di questa filiera. A questo proposito Mancuso ha riportato l’esempio del NEW INC - The First Museum - Led Incubator For Art, il primo “incubatore” gestito da un museo che dà la possibilità di crescita, ricerca, applicazioni e sviluppi – anche in termini di business – ad un ambito artistico che esce dai mercati classici dell’arte contemporanea per sfondare nuove barriere e aprirsi a rinnovate potenzialità.

A conclusione della conferenza Marco Mancuso ha proposto diversi esempi di artisti che lavorano con differenti tecnologie e che hanno parabole di formazione, studio e avvicinamento all’arte di carattere interdisciplinare. Tra questi è risultato interessante l’esempio di Evan Roth, uno dei più affermati in questo ambito a livello internazionale. Egli nasce come street artist, lavorando con media analogici quali le vernici su superfici fisiche. Quando Roth si avvicina a internet ne viene quasi travolto da un punto di vista artistico e comincia a progettare lavori in rete, diventando uno dei primi net artist. Ovviamente, trovatosi davanti al problema dell’esposizione delle proprie opere, ha pensato ad una modalità con la quale portarle ad essere oggetti fisici. Il lavoro di Roth che Mancuso ha proposto è del 2016, ma continua ancora oggi, ed è intitolato Internet Landscapes. L’opera consiste nella mappatura di tutti i luoghi costieri del mondo in cui le grosse dorsali di internet, ovvero i cavi in fibra ottica che si trovano al di sotto del livello del mare, emergono sulla terra ferma: ciò che cerca di fare l’artista è rendere visibile, materico e oggettivo un concetto astratto come internet, le reti, i dati e i network che appartengono alla nostra cultura, alla nostra quotidianità, ma che noi non vediamo. Il risultato finale dell’opera sono fotografie ad infrarosso, ovvero la frequenza con cui passano i dati all’interno della fibra ottica contenuta nelle dorsali. I suoi possono essere considerati lavori molto poetici, caratterizzati da uno stretto rapporto con la natura, una natura in cui internet non si vede, pur essendo costantemente presente al di sotto della superficie. 

Marco Mancuso ha fornito una spiegazione molto efficace ed esauriente del panorama artistico più contemporaneo che si sta aprendo alla collaborazione con altre discipline, contribuendo alla sensibilizzazione verso nuove tematiche che ancora difficilmente vengono accettate. L’incontro, svoltosi all’insegna dell’interdisciplinarietà, è stato di particolare interesse per la possibilità di approfondire la conoscenza di problematiche di rado trattate in ambito accademico e sulle quali  è quanto mai opportuno sviluppare una consapevolezza sempre più forte, poiché costituiscono parte integrante della nostra quotidianità.