Il 7 marzo 2018 Lina Bolzoni è stata l’ospite del ciclo dei “Mercoledì di Santa Cristina” dove ha tenuto una conferenza – coordinata da Lucia Corrain – dal titolo Una finestra aperta sul cuore. Poesia e Ritratto nel Rinascimento.
Dopo la formazione presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, dove è docente di Letteratura italiana dal 1997 e dove ha diretto il Dipartimento di Studi italianistici, Lina Bolzoni è stata invitata come visiting professor in diverse università in Francia e negli Stati Uniti (New York University, Harvard University e UCLA, per citarne alcune). Tra i molti suoi scritti meritano di essere ricordati La rete delle immagini: predicazioni in volgare dalle origini a Bernardino da Siena, (vincitore, tra gli altri, del premio Brancati nel 2002, del Premio Viareggio e della Modern Language Association of America); La stanza della memoria. Modelli letterari e iconografici nell’età della stampa (1995-2003), tradotto in diverse lingue; Il cuore di cristallo: ragionamenti d’amore, poesia e ritratto nel Rinascimento (2010). Si è occupata di una sezione della mostra La fabbrica del pensiero. Dall’arte della memoria alle neuroscienze che, partita da Firenze, ha raggiunto Parigi e Madrid (1990). Ha curato, inoltre, importanti edizioni critiche tra le quali le opere di Tommaso Campanella e del Theatro di Giulio Camillo Delminio.
In questa conferenza Lina Bolzoni ha indagato analogie e differenze tra il mondo dell’arte e della letteratura, attraverso il confronto tra le opere di pittori e poeti, tra parole e immagini.
Il suo discorso parte dall’identificazione di un tema frequente nel Rinascimento: “la superiorità della parola rispetto all’immagine” indicata dai letterati, poiché “capace di penetrare nel cuore e di sfidare il tempo”. Le opere d’arte, al contrario “vengono condannate all’estinzione di fronte alla parola perpetua”.
Lina Bolzoni comincia così a delineare una prima opposizione che permette di associare la parola, che vive nel tempo, all’anima, mentre le immagini, che vivono nello spazio, al corpo. È in questo momento che affiora un secondo tema, che rende possibile l’attuarsi delle due contrapposizioni: il ritratto inteso nella sua duplice forma, sia artistica che letteraria. Infatti, è attraverso il ritratto che si apre, metaforicamente, una finestra sul cuore.
Questa idea ha radici in Socrate e Aristotele i quali ritenevano che gli dei, quando hanno creato l’uomo, non gli avessero concesso di guardarne l’interiorità. Nella nostra tradizione poetica il desiderio di “guardare nell’anima”, “la trasparenza”, si esprimono attraverso l’immagine del “cuore di cristallo”, di cui si ha un primo riferimento con il Canzoniere di Petrarca (1336-1374) quando il poeta afferma: “Certo, cristallo o vetro/Non mostrò mai di fore/Nascosto altro colore,/Che l’alma sconsolata assai non mostri/Più chiari i pensier nostri; o ancora nella poesia che Pietro Bembo, nell’opera Gli Asolani (1503), dedicò a Lucrezia Borgia: “Avess’io almen d’un bel cristallo il core”.
Il ritratto instaura così una soglia: al tempo stesso può conservare la memoria, al di là della morte, eppure è incapace di restituire la vita. Fin dalle origini è stato concepito come “un segno macchiato di realtà”. La leggenda della figlia di Butade, narrata nella Storia Naturale di Plinio, sembra porre le fondamenta per ciò che nel tempo andrà sviluppandosi in forma di “ritratto”: la ragazza traccia su una parete la proiezione del profilo del suo amato – che doveva partire per la guerra – aiutata dal lume di una candela; in seguito il padre, un vasaio di Sicione, ne riempie i contorni con l’argilla per farne una scultura.
Lina Bolzoni spiega come anche nella poesia la parola, quando ha a che vedere col ritratto, si traduce in materia e si proietta nell’immagine.
Nella grande stagione del ritratto – tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento – sono molte le testimonianze dell’uso della parola in pittura. Un esempio è dato dal ritratto di Laura Battiferri, del 1560, realizzato dal Bronzino: la donna viene rappresentata di profilo mentre tiene fra le mani un manoscritto aperto, nel quale si leggono alcuni versi di Petrarca. Il pittore, rivelando quanto Laura sta leggendo, permette di aprire una finestra sul suo cuore – per ritornare alla metafora – e come se il mero ritratto non bastasse per definire la sua immagine, crea una fitta rete di rimandi, gioca col nome stesso di Laura per riferirsi a quella amata dal poeta.
Anche Petrarca, nel Canzoniere, descrive con due sonetti il ritratto di Laura che commissionò a Simone Martini (vv. 77-78): il primo testimone della bellezza “divina” della donna, nonché elogio alla pittura, dove si conferma anche il rapporto di amicizia tra pittore e poeta; il secondo indagatore del punto di vista dello spettatore di fronte al ritratto. Quest’ultimo è portatore di un presagio: Lina Bolzoni mette in evidenza l’incapacità della pittura di trasformare in materia viva la donna amata. In contrapposizione al mito di Policleto, il desiderio di Petrarca per Laura resta tale senza essere appagato perché il ritratto “fatto in paradiso” non può prendere vita. I sonetti si collocano all’origine di una lunga tradizione che avrebbe visto esplodere i rimandi tra testi poetici e i ritratti, testimoni ulteriori dei rapporti sociali tra letterati e pittori presso le corti.
Un altro esempio del dialogo tra letteratura e arte viene identificato nel ritratto che Tiziano dipinge per Elisabetta Querini. Dice Lina Bolzoni: “Giovanni della Casa sostiene che l’artista ha saputo rendere vivo il quadro al punto da farlo sembrare reale”. La grandezza del pittore e del poeta si esalta e si corrisponde perché se Tiziano ritrae con i colori, Giovanni della Casa “ritrae” con le parole: il sonetto che parla del ritratto può essere considerato come la cornice del dipinto stesso”.
Queste analisi permettono anche di dichiarare che la poesia, elogiando il ritratto, si impadronisce di alcune forme materiali: le parole quasi si fanno corpo e invitano a non fermarsi alla superficialità per andare dritti al cuore. Parola e immagine collaborano per rivelare cosa si celi nell’animo. Lina Bolzoni approfondisce le modalità attraverso cui questa liaison si attua, rivelando un terzo protagonista: l’oggetto materiale, “la cassa che custodisce l’opera d’arte”. Si trattava di una sorta di coperchio usato per preservare le opere più preziose, incardinato al quadro stesso e che – come per la copertina di un libro – poteva essere spostato. In un sonetto di Panfilo Sasso c’è un primo esplicito riferimento a questo manufatto, chiamato in causa per descrivere una “sensazione claustrofobica”: il ritratto “chiuso in cassa” diventa l’immagine di un amore tirannico, così come il passaggio dal coperchio chiuso allo svelamento dell’opera equivale allo spostamento ideale tra esteriorità e interiorità.
La variante degli oggetti che alludono ad altro è presente sia nel Cortegiano (1513-1524) che nei Sonetti dello Specchio di Baldassarre Castiglione.
Sebbene nell’introduzione del Cortegiano il letterato presenti l’opera come “ritratto”, il contenuto si concentra proprio sui giochi proposti dai cortigiani alla Corte di Urbino. Tra questi, quello di interpretare e svelare il segreto della “S”, un ornamento che la duchessa Elisabetta usava indossare. Un dettaglio che ha attirato l’interesse degli studiosi, chi trovando un riferimento all’opera di Raffaello - che nel ritratto di Elisabetta Gonzaga aveva dipinto un piccolo scorpione sulla sua fronte -chi riferendosi alla maglia di una collana che Castiglione - tornato a Urbino dopo una missione per la Corte e ricevuta in dono una collana con medaglione – aveva offerto alla duchessa, rivelando così il suo segreto.
Il secondo esempio in cui l’oggetto è protagonista è nei Sonetti dello Specchio che la nuora di Baldasarre Castiglione - Caterina Mandella - scoprì per caso nel 1560. In uno di questi troviamo uno specchio dotato di un congegno segreto che a comando si apriva e rivelava il ritratto di una “bellissima e “principalissima” signora, di mano di Rafael Sanzio d’Urbino” in cui si è pensato di riconoscere Elisabetta Gonzaga. Baldassarre Castiglione, innamorato della duchessa, aveva nascosto un suo ritratto dentro lo specchio e tra loro due sonetti, i quali sembravano dare voce all’immagine. “Castiglione, creando questo oggetto, aveva inteso ridare vita alla sua amata, con la parola e la sua immagine. L’oggetto diviene una metafora reificata: è la donna stessa”.
Parola e immagine concorrono a un “doppio ritratto”, accompagnato anche dall’antica metafora del “rispecchiarsi nell’immagine della donna amata”.
La conferenza si è chiusa accolta da molti applausi e con i ringraziamenti di Lucia Corrain che ha lasciato subito la parola al pubblico: tra le domande rivolte a Lina Bolzoni una, particolarmente interessante, ha messo in evidenza come si possa raggiungere un simile livello di introspezione - tra immagine, parola e oggetto - anche nel caso dell’autoritratto e del racconto autobiografico.